Tra le patologie croniche, il diabete si sta diffondendo sempre di più, tanto che per il 2025 l’Organizzazione Mondiale della Sanità prevede che il numero di persone colpite possa raddoppiare. Anche in Italia, purtroppo, la diffusione di questa malattia è notevolmente aumentata. Secondo i dati Istat 2009, il 4,8% della popolazione italiana soffre di diabete, ovvero circa 2,9 milioni persone. Il diabete, inoltre, costituisce la principale causa di amputazioni traumatiche, infarti, ictus, cecità, disturbi della vista e dialisi nella popolazione italiana.
Oggi il 60-70% degli obesi rischia il diabete e l’80% dei diabetici ha problemi di sovrappeso. Infatti, l’International Obesity Task Force ha mostrato che, fatta eccezione del Portogallo, oltre il 50% degli europei fallisce almeno tre dei quattro obiettivi fissati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità riguardanti la sana alimentazione (relativamente a consumo di sale, zucchero, grassi e frutta e verdura). Circa un terzo delle persone che vivono in Europa, di conseguenza, risulta essere in sovrappeso.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce il self-care come “le attività che gli individui, le famiglie e le comunità intraprendono con l’intenzione di migliorare la propria salute, prevenire le malattie, limitare i danni e i sintomi delle patologie e ristorare il proprio stato di salute” (1983) e costituisce l’unica via salutare che queste persone possono percorrere. È compito dello psicologo progettare e gestire il percorso di self-care più adatto per il paziente affetto da patologia cronica afferente all’area alimentare.
Quali strumenti per lo psicologo che lavora con questa utenza?
Nonostante vi siano diversi strumenti da utilizzare con persone affette da patologie croniche, non esiste un protocollo di intervento valido per qualsiasi situazione. Pertanto è necessario adattare la varietà di strumenti, presenti e validati in letteratura per questa tipologia di utenza, alle esigenze del singolo che si ha di fronte. In questo articolo, a titolo esemplificativo, si prenderanno in esame tre macro-categorie di persone affette da patologia cronica afferente all’area alimentare, che necessitano di interventi diversi: persone con bisogni complessi, persone con risorse limitate e persone non motivate.
Bisogni complessi
Alcuni pazienti presentano compiti di self-care complessi, come quelli con condizioni patologiche croniche multiple, gli anziani e i pazienti con gravi disabilità. I protocolli di intervento per pazienti che soffrono di una singola patologia cronica non sono adatti a questa categoria di pazienti. Bayliss e colleghi (2003) riportano che pazienti con multimorbidità spesso presentano “richieste concorrenti” a causa delle proprie differenti condizioni croniche e così può accadere che il mettere in atto azioni di promozione della propria salute fisica o psicologica intralci altre condizioni comorbide. Ad esempio, una persona obesa e che soffre di diabete e alla quale è stato consigliato l’esercizio fisico, può sentirsi limitata a mettere in atto quanto prescritto a causa di un’artrite preesistente. Inoltre, la depressione o altri disordini mentali, che sono condizioni concomitanti in molte persone con patologie croniche, impattano in maniera negativa sui compiti di self-care, ostacolandoli.
Non vi è, dunque, alcuna evidenza scientifica a supporto di un unico protocollo specifico per questa categoria di pazienti, ma esistono validi interventi che fanno uso di tecniche mutuate da protocolli differenti, tesi a promuovere l’auto-efficacia ed il problem solving e l’inserimento dei comportamenti di self-care nella propria vita quotidiana.
Mancanza di risorse
Alcune persone con condizioni croniche potrebbero avere accesso inadeguato alle risorse necessarie a svolgere buone pratiche di self-care o per frequentare programmi di supporto. I pazienti più svantaggiati sono quelli più anziani, con bassi livelli di istruzione, con scarso reddito, con lacune cognitive o intellettuali, o appartenenti ad una minoranza etnica. Questa categoria di persone trae maggiore beneficio dalla psico-educazione (“Cosa fare e perché”), prima di affrontare il problema dello sviluppo delle abilità e la fiducia in se stessi per affrontare i compiti di self-care (“Come fare le cose”). I setting individuale e di gruppo costituiscono entrambi scelte valide e una volta che la psico-educazione di base è stata fornita, il supporto continuo si caratterizza come valido aiuto, soprattutto se mirato ad obiettivi chiari e alla programmazione delle azioni, con follow up regolari e problem solving. Questo permetterà lo sviluppo delle abilità necessarie al self-care e dell’autoefficacia.
Mancanza di motivazione
Dal momento che la frequenza di programmi di supporto è volontaria, i partecipanti devono desiderare di migliorare il proprio self-care o, almeno, pensarvi seriamente. I pazienti che non sono motivati ad adottare comportamenti salutari, poco probabilmente trarranno beneficio dai programmi di supporto che si focalizzano sul miglioramento dell’auto-efficacia e la formulazione di piani d’azione personalizzati. Questi pazienti generalmente sanno “cosa fare”, ma non “perché”. Secondo alcuni studi svolti negli Stati Uniti, questi pazienti sembrano avere il più basso livello di conoscenza, abilità e auto-efficacia e conseguentemente falliscono nel riconoscere che hanno un ruolo attivo per la propria salute. Partendo dall’identificazione di quali comportamenti sono realistici per i pazienti di questo tipo a diversi stadi di attivazione comportamentale (“Cosa è disposto a fare il paziente adesso?”), è possibile incoraggiarli a fare “il prossimo passo”. Quando i pazienti considerano la propria condizione non troppo seria o non esperiscono sintomi, si sentiranno meno motivati a prendersi cura di sé. I pazienti potranno non credere che possono influenzare la propria salute o controllare i propri disturbi, nemmeno seguendo le prescrizioni mediche. Le false credenze sulle cause, il decorso e le conseguenze della propria patologia, così come sui benefici di un adeguato self-care possono essere corrette attraverso interventi volti allo sviluppo di comportamenti autonomi. Questo può essere fatto attraverso la produzione di informazioni rilevanti ai fini del raggiungimento degli obiettivi, il monitoraggio e i feedback continui sui progressi o attraverso la creazione di un gruppo di pari. Inoltre, è utile coinvolgere il partner o altre persone significative della rete sociale di queste persone, strategie che risultano efficaci per tutti i pazienti, ma ancora di più per quelli che mancano di motivazione.
È evidente che, nonostante sia importantissimo sistematizzare la presa in carico delle persone con patologie croniche, il supporto per il self-care necessita di essere cucito su misura dei bisogni del singolo. Per fare ciò, lo psicologo deve essere fornito di una cassetta d’attrezzi ricca, dalla quale attingere gli strumenti più adatti al caso.
È per questo che:
- Tenuto conto dell’alto interesse pubblico per la prevenzione delle patologie croniche e per il cambiamento di stile di vita in persone affette da diabete, patologie cardiovascolari o allergie alimentari
- Essendo nota la coesistente difficoltà dei pazienti nell’attuare tale cambiamento
- Data la validità di interventi di tipo cognitivo-comportamentali ed educativi volti a permettere alla persona un cambiamento di abitudini che promuova il self-care
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Dott.ssa Teresa Montesarchio
Per approfondimenti:
- Dobrow, M. (2009). Caring for people with chronic conditions: a health system perspective. International Journal of Integrated Care. 9:e08.
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