La Terapia a Seduta Singola (TSS) non è un modello teorico
Prima di tutto, la Terapia a Seduta Singola non è un modello teorico univoco.
In altre parole, non è un approccio a sé stante come la psicoanalisi, la terapia cognitivo-comportamentale o la terapia sistemico-relazionale.
La Terapia a Seduta Singola è piuttosto una cornice, un modo di fare terapia e consulenza, finalizzato a massimizzare l’efficacia di ogni singolo incontro.
La Terapia a Seduta Singola non dura necessariamente una sola seduta
Come spiegano Hoyt e Talmon (2014b), una delle maggiori incomprensioni è pensare che fare TSS significhi sempre fare una sola seduta. Questa è una concezione errata. Fare TSS significa lavorare con l’obiettivo di trarre il massimo da ogni singola seduta, il che comporta – questo sì – che ogni singola seduta possa essere potenzialmente l’ultima e, di conseguenza, che la terapia possa durare anche una sola seduta.
Se, inoltre, consideriamo che tutti gli studi mostrano all’unanimità che il numero più frequente di sedute in psicoterapia è 1 (si presenta dal 20 al 50% dei casi, a seconda degli studi – Hoyt & Talmon, 2014a), diventa chiaro come sia importante trarre il massimo da ogni singolo incontro.
Negli ultimi 30 anni gli studi sulla Terapia a Seduta Singola si sono appunto concentrati nel ricercare e approfondire tutti quei fattori che possono potenziare gli effetti di ogni singolo incontro. Per questo la TSS non è un approccio terapeutico: qualunque forma di psicoterapia può integrare al suo interno gli aspetti della Terapia a Seduta Singola.
E così avviene, di fatto. I terapeuti che utilizzano le logiche, i principi e le linee guida della TSS nella propria pratica professionale provengono da approcci diversi, anche molto lontani tra loro.
Può una singola seduta di terapia essere sufficiente per alcune persone?
Le prime osservazioni sulla TSS furono condotte da Moshe Talmon, quando intorno al 1986 riscontrò l’alto tasso di drop-out presente all’interno del servizio di psicoterapia in cui lavorava (si trattava di un ospedale facente parte al Kaiser Permanente, una delle più grandi organizzazioni sanitarie degli Stati Uniti).
Dopo aver riscontrato in altri studi questo dato, Talmon volle capirne le ragioni. Raggiunse telefonicamente 200 suoi pazienti visti una sola volta e ottenne una risposta sorprendente: il 78% di essi sosteneva di aver beneficiato di quell’unico incontro e di non esser tornato in terapia per questo motivo (Talmon, 1990).
Questo dato ha poi ottenuto conferma da uno studio successivo, la prima ricerca sistematica focalizzata sulla Terapia a Seduta Singola, diretta da Michael Hoyt e condotta assieme a Robert Rosenbaum e Moshe Talmon, il quale aveva messo insieme il gruppo.
In quella prima ricerca venne condotta una TSS su 60 pazienti: ebbene, il 58% ritenne di non aver bisogno di ulteriori sedute (Hoyt, Talmon & Rosenbaum, 1990).
Si tenga presente che 60 pazienti non sono un numero irrilevante: perché una ricerca statistica abbia un minimo valore rappresentativo occorre avere almeno 30 soggetti (si parla in certi casi di indagine pilota o preliminare). E in psicoterapia, ovviamente, i numeri difficilmente sono quelli dell’industria farmaceutica, che ha la possibilità di sperimentare i farmaci su centinaia di migliaia di persone in poco tempo.
Tuttavia, per fugare ogni dubbio, i risultati ottenuti da Hoyt, Rosenbaum e Talmon hanno ottenuto ulteriori conferme negli anni da altri studiosi, e in diverse parti del mondo. Giusto per citarne uno, in Australia è stato condotto uno studio su oltre 100’000 pazienti, il 42% dei quali ha ritenuto sufficiente una singola seduta (Weir, Wills, Young & Perlesz, 2008).
Tutti questi risultati hanno ottenuto conferma nei successivi follow up, alcuni dei quali arrivati anche fino a 8 anni.
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Fonte: TerapiaSedutaSingola.it