Tocofobia… come affrontare il terrore del parto?

Aiuto le persone ad affrontare e superare momenti difficili della loro vita e a ritrovare il benessere: singoli individui, coppie e famiglie. Sono psicologa e psicoterapeuta ad indirizzo analitico tr...

Qualche giorno fa mi ha chiamato una donna, che ho seguito per un periodo in terapia di coppia, dicendomi che si era sposata con il suo compagno di allora e che ora aspettano un bambino. E’ terrorizzata e mi chiede un certificato di tocofobia, consigliata dal suo ginecologo.

Ma cos’è la tocofobia?

La tocofobia è stata classificata per la prima volta nella letteratura medica nel 2000 da Kristina Hofberg e Ian Brockington sul British Journal of Psychiatry. Lo studio è partito dall’osservazione del fatto che ci sono alcune donne che sono terrorizzate dalla nascita di un bambino fino ad arrivare ad evitarla nonostante abbiano il desiderio di diventare madri. Il terrore, e non la semplice e fisiologica paura, porta alcune donne a strategie di evitamento importanti, come quella di decidere di non avere figli pur di evitare il momento del parto.
La tocofobia è stata quindi classificata in due tipologie:
primaria: il terrore del parto è precedente alla gravidanza e in genere comporta una rinuncia a diventare genitore;
secondaria: il terrore si presenta dopo un parto traumatico;
La tocofobia primaria può essere il sintomo di una depressione in corso, in alcune donne invece è la conseguenza di abusi sessuali subiti durante l’infanzia. Alcune donne che presentano tocofobia primaria hanno interrotto la gravidanza, pur desiderando molto l’arrivo di un figlio.
In questo studio è stato riconosciuta una correlazione tra il PTSD e il parto. Tra i soggetti con tocofobia, l’incidenza del PTSD era alta ed era associata con parti traumatici (tocofobia secondaria) e rifiuto di poter scegliere come partorire.

Quale il possibile trattamento per la tocofobia?

Il rischio è quello che si continui la strategia di evitamento di chi soffre di questa fobia, senza dargli l’opportunità di affrontarla e superarla, quando possibile. Spesso viene richiesto un parto cesareo programmato. Così facendo, si entra in collusione con la problematica di tipo psicologico della donna e, in una sorta di processo parallelo, si evita di soffermarsi proprio lì dove c’è l’ansia.
Probabilmente, in mancanza di un percorso che permetta di superare la fobia, il parto cesareo è la soluzione che permette alla donna di affrontare il momento del parto con meno rischi.
Al momento, penso, siano principalmente due i motivi per cui la tocofobia non viene trattata con un percorso mirato di psicoterapia:

  • La mancanza di una diagnosi precoce e quindi di una possibilità di intervento precoce. Sarebbe sufficiente diagnosticare questa fobia nel primo trimestre di gravidanza per avere il tempo, in molti casi, di intervenire con lo strumento della psicoterapia;
  • In letteratura e in campo psichiatrico viene riconosciuta come terapia elettiva per le fobie l’orientamento cognitivo-comportamentale. Tale orientamento lavora principalmente sull’esposizione graduale allo stimolo ansiogeno, lavoro terapeutico che non è possibile praticare nel caso in cui lo stimolo ansiogeno è il parto.

Mi sono presa qualche giorno di tempo per dare una risposta a questa donna con una domanda così urgente per lei e allo stesso tempo così “scomoda” per me. In questi giorni ho approfondito la tematica e ho pensato a delle alternative, a come potere affrontare questa situazione. L’ho richiamata dandole un appuntamento, la vedrò tra due giorni, ho deciso di ascoltare la sua paura e la sua ansia.

Soffermandomi su questa tematica, e ripensando al lavoro che stiamo portando avanti all’Ordine degli Psicologi del Lazio come Gruppo di Progetto sulla Perinatalità, una prima riflessione è sicuramente quella sull’importanza di una diagnosi precoce da parte del medico di famiglia o del ginecologo e di un lavoro in equipe multidisciplinare. Il nostro gruppo di lavoro sta operando affinchè si crei una rete di psicologi esperti nelle aree della perinatalità e, allo stesso tempo, affinchè si avviino o si rafforzino, ove presenti, dei modelli di lavoro e di intervento multidisciplinare.

In situazioni di questo tipo, una diagnosi precoce di tocofobia e l’invio ad uno psicoterapeuta potrebbe evitare il ricorso ad un parto cesareo.
Se il medico e lo psicologo/psicoterapeuta lavorano con un rapporto di fiducia, il medico stesso potrà scoprire come ci siano altre metodologie psicoterapeutiche altrettanto valide, insieme alla cognitivo-comportamentale, e come sia possibile scegliere quella più adeguata al tipo di problema portato dal paziente. Probabilmente non si tratterà di un trattamento psicoanalitico poiché richiede tempi lunghi, ci sono ormai diversi modelli terapeutici che mirano alla risoluzione di uno specifico problema in tempi contenuti. Io ne ho esperienza con il mio approccio che è quello analitico transazionale.

Quando c’è la possibilità di affrontare la tocofobia con una psicoterapia, è importante fare una diagnosi accurata, definire se è primaria o secondaria poiché sicuramente sarà diverso il tipo di intervento (eventualmente anche multidisciplinare) e di trattamento psicoterapeutico.
Ricordiamoci inoltre che è stato dimostrato come lo stato di salute psico-fisico della mamma incida sullo sviluppo del nascituro sia durante i mesi di gravidanza che dopo il parto.
Le cause possono essere di due tipi:
• lo stato ansioso della madre passa “direttamente” al piccolo che porta in grembo e questa esperienza sarà una parte del bagaglio con cui il piccolo comincerà la sua vita.
• lo stato ansioso della madre può protrarsi anche oltre la gravidanza per cui il neonato lo “assorbirà” a suo modo, avendo più difficoltà ad “utilizzare” la tranquillità della madre per la regolazione dei suoi stati emotivi.

Bibliografia
Kristina Hofberg e Ian Brockington , British Journal of Psychiatry, (2000), 176, 83-85

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0 thoughts on “Tocofobia… come affrontare il terrore del parto?

  • Gen.le Dott.ssa,

    l’idea che non sia possibile affrontare la tocofobia con la TCC (terapia cognitivo-comportamentale), in quanto non suscettibile di procedura di esposizione, è semplicemente sbagliata.
    Come sanno tutti i terapeuti CC (con buona formazione) e come dimostrato dalla storia di questa tecnica fin dall’inizio, l’esposizione si può praticare sia “in vivo”, cioè direttamente, che nella immaginazione, e non c’è, mediamente parlando, differenza alcuna di efficacia tra la prima e la seconda modalità, mentre nel singolo caso può esservi grande differenza a seconda della propensione della paziente all’uso dell’immaginazione o della logica.

    In altre parole, soggetti molto suscettibili alle immagini mentali potranno avere i migliori risultati con la versione immaginativa della tecnica stessa (cioè esperienziale), mentre andranno meglio con una versione “cognitiva” le pazienti che si appoggiano di più ad argomenti razionali. Si tratta di differenze disposizionali presenti in tutti noi, correlate all’uso differenziale che facciamo del canale iconico o di quello proposizionale.

    Non bisogna dimenticare, comunque, che il cambiamento è più stabile quando avviene sia a livello esperienziale (non importa se in vivo o nell’immaginazione) che a livello cognitivo.
    Se la condizione fobica è grave, ovviamente, ciò può influenzare la decisione di non affrontare del tutto la gravidanza, decisione che allontanerà la paziente anche dal trattamento. Questa situazione si può affrontare con una ottima relazione terapeutica e se vi sono motivazioni forti nella paziente a superare il problema. In questo caso, il terapeuta può procedere con dei “saggi” del potenziale terapeutico della tecnica dell’esposizione usando stimoli sub-liminari che usino parole evocative della condizione gravidica e osservandone l’effetto.
    Prof. Lucio Sibilia (https://www.crpitalia.eu/sibilia.html)

  • Simona di Giorgio says:

    Gen.le Dott.ssa,
    ho trovato il suo articolo molto interessante e credo di ritrovarmi nella condizione secondaria di tocofobia.
    In realtà il parto cesareo mi spaventa quanto quello naturale, quindi non mi piacerebbe prenderlo in considerazione.
    Credo che la mia ansia derivi dal fatto che durante il mio primo parto non mi sia stata data l’attenzione necessaria (anche se tutto sommato sono riuscita a sopportare con successo le contrazioni), mi spiego meglio: l’ostetrica non mi ha aiutato come la sua collega del turno precedente, quindi mi sono sentita “abbandonata” anche se lei era presente fisicamente. Ginecologo (uomo) che mi ha ripreso perchè urlavo e faticavo a spingere perchè soffrivo di crampi alle gambe.. e al termine del parto, mi ha schiacciato la pancia per eliminare i grumi residui. Ecco, quest’ultimo punto mi ha traumatizzato e ferito quanto il parto, perciò sono terrorizzata da una seconda gravidanza. L’umore era a pezzi, ho pianto tanto. Mi scuso per il messaggio prolisso, ma vorrei trovare una soluzione per poter superare questo blocco che ormai mi porto da 3 anni.
    La ringrazio tanto per la sua attenzione
    Simona

  • Manuela Caruselli says:

    Buongiorno Gaia,
    non mi sono occupata direttamente di emetofobia, anche se ho ritrovato il sintomo all’interno di altre problematiche.
    Il successo o il fallimento di una terapia dipendono da numerosi fattori, mi spiace che la sua esperienza non si sia conclusa con un “successo”.
    Un caro saluto

  • Gentile Dott.ssa,
    io soffro di emetofobia, e anche questa paura terrorizza nell’eventualità di restare incinta e di andare incontro a nausee gravidiche, portando, come per la tocofobia, a rinunciare alle gioie della maternità. Ha mai affrontato questo tipo di problema con un paziente? Io ho provato con la cognitivo-comportamentale senza alcun successo.

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