157,00 € IVA inclusa
Docenti:
Jeremy Holmes
, Maurizio Andolfi
, Luigi Zoja
, Matteo Lancini
, Chiara Simonelli
, Cesare Maffei
, Vincenzo Caretti
, Niki Petrocchi
, Antonio Semerari
, Camillo Loriedo
, Antonino Aprea
, Paolo Moderato
, Anna Prevedini
, Giovanni Tagliavini
, Patrizia Moselli
, Margherita Spagnuolo Lobb
, Laura Fino
, Giuseppe Craparo
, Annalisa Di Luca
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Dopo il grande successo di “Dialoghi sulla Relazione Terapeutica, con Irvin Yalom”, ti invitiamo a partecipare a questa seconda edizione, completamente rivisitata ed in grado di offrirti una nuova, stimolante e prestigiosa esperienza di studio e formazione. Ciò che non cambia è il focus degli interventi:
Indagheremo sul cosa accade nella relazione tra terapeuta e cliente/paziente e descriveremo in che misura e attraverso quali processi la Relazione contribuisce alla cura e alla guarigione o, al contrario, diventa un ostacolo al trattamento o un fattore dannoso.
Numerosi autori sono concordi nel sostenere come la relazione terapeutica, intesa come fattore terapeutico aspecifico, vale a dire non correlato all’uso di tecniche proprie di specifici orientamenti e modelli psicoterapeutici, diviene la componente fondamentale del processo terapeutico, configurandosi così come un nucleo concettuale e clinico a sé, di estrema rilevanza.
Questo viaggio tra teoria, tecnica ed esperienza umana del terapeuta ti offrirà la preziosa opportunità di poter incontrare 18 importanti terapeuti, rappresentanti di differenti approcci e traiettorie professionali. Grazie alla condivisione di casi clinici, entrerai virtualmente nella stanza di terapia dei relatori invitati, al fine di “toccar con mano” gli aspetti relazionali che vengono trattati ed aumentare la tua consapevolezza circa le differenze e le comunanze tra orientamenti, in ottica comunque integrativa ed arricchente.
Approccio Gestaltico, Margherita Spagnuolo Lobb
La presenza dello psicoterapeuta della Gestalt è descritta come creativa e attiva, caratterizzata da una qualità che i fondatori definivano “da essere umano a essere umano”. È una presenza informata non solo sui processi psicopatologici del paziente, ma anche sulla “danza della reciprocità” che si instaura tra terapeuta e paziente. La cura è dunque un incontro reale e co-creato tra due esseri umani che mettono in gioco se stessi, non un “laboratorio” in cui il paziente viene “osservato”.
Questo implica che il terapeuta sia consapevole del proprio corpo (per esempio grazie ad un percorso di terapia personale) e che sia disponile a utilizzare, nella relazione terapeutica, non solo il sentire del paziente, ma anche le proprie reazioni emozionali, per una comprensione più profonda del campo esperienziale che si crea nel setting. Questo riverbero che la sofferenza portata dal paziente ha sull’umanità del terapeuta consente anche di ritagliare l’intervento terapeutico su quello specifico paziente e, non meno importante, sulla specifica interazione tra quel terapeuta e quel paziente. Su questa lettura della reciprocità tra terapeuta e paziente, si basa l’utilizzo della presenza “in carne ed ossa” del terapeuta.
Verrà presentato uno strumento ad hoc, la conoscenza relazionale estetica – che include l’empatia incarnata, la consapevolezza corporea e la risonanza del terapeuta – per orientarsi nell’uso delle proprie emozioni con i pazienti. Nel seminario saranno presentati esempi clinici “incarnati” di questo strumento fenomenologico ed estetico, che può essere utile in tutti gli approcci psicoterapeutici.
Obiettivi didattici:
Approccio Teoria dell’Attaccamento, Jeremy Holmes
Il mio intervento si concentrerà sulle fasi iniziali della terapia e su come esse rappresentino un modello per il lavoro successivo. La sessione sarà divisa in 4 parti, che sono solitamente sequenziali, conservando tuttavia una struttura “frattale” che permetta di osservare le interazioni momento per momento.
Il primo compito è stabilire una connessione e aprire un canale di comunicazione, e quindi stabilire una fiducia epistemica. E’ importante farlo adottando uno stile fiducioso, ma anche rispettoso e collaborativo, che ribadisca con fermezza i confini della terapia (tempi, luogo, assenza di interruzioni, ecc.).
In secondo luogo, vengono introdotti i tre tipi di ascolto: a) ascolto della storia del cliente, le sue associazioni libere, le digressioni, le esagerazioni, le elusioni; b) ascolto di me stesso (es. contro-transfert, che spesso funge da indizio per il mondo interiore del cliente); c) ascolto del modo in cui il cliente reagisce ai miei commenti – adesione, blocco, elaborazione – e modellamento o modifica del linguaggio in relazione a tali reazioni.
Nella prima (o nelle prime) sessione solitamente provo a comprendere quali sono i sintomi specifici che hanno portato il cliente a chiedere aiuto, perché in quel preciso momento, perché è venuto da me e quali potrebbero essere le sue aspettative rispetto all’esito terapeutico.
Il terzo passo è il mio tentativo di ascoltare, sintetizzare e mettere in parole il “secondo livello della storia”. Ad esso fanno riferimento i temi attuali della vita del cliente e ciò che si nasconde dietro la loro narrazione – dolore, rifiuto, abbandono, rabbia ecc. – e come queste emozioni potrebbero giocare un ruolo transferale in relazione a me.
In ultimo, arriva il momento della chiusura, in cui si stabiliscono i confini temporali ed emozionali della sessione, all’interno dei quali ci sia spazio per lo sviluppo di un senso di speranza, per la costruzione di significato e per la formazione di un attaccamento sicuro. Illustrerò tutto ciò attraverso il caso clinico di un cliente difficile, approfondendo i blocchi che ne hanno impedito un buon funzionamento.
Approccio Dialectical Behavior Therapy (DBT), Cesare Maffei
Ogni terapia prende avvio dalla presenza di sofferenza, ed il suo obiettivo è di fare in modo, con una varietà di strategie e tecniche che dipendono dalla teoria clinica di riferimento, di fare scomparire questa sofferenza, o di alleviarla. In altri termini, ogni terapia ha come obiettivo il cambiamento e questa affermazione ha in sé un aspetto paradossale: i pazienti vanno in terapia per cambiare, i terapeuti sono gli esperti che li possono aiutare, ma il cambiamento è l’obiettivo più difficile da ottenere. A volte appare impossibile. Da che cosa dipende ciò ? Si rischia spesso di ritenere che la difficoltà dipenda dal paziente, che in un qualche modo contrasta il cambiamento, pur desiderandolo. In realtà il problema è per lo più del terapeuta. Il trattamento di pazienti con gravi disturbi della personalità, caratterizzati da intensa disregolazione emozionale e comportamentale, è l’area elettiva della Dialectical Behavior Therapy (DBT) (Linehan, 1993).
Il fondamento di tutte le strategie della DBT è rappresentato dalla capacità, da parte del terapeuta, di mantenere un equilibrio dialettico tra accettazione e cambiamento, partendo dal presupposto che l’accettazione della realtà così com’è, sofferenza inclusa, è il presupposto di ogni cambiamento, ed è anzi già un cambiamento. L’esperienza clinica dimostra come la maggiore difficoltà del terapeuta stia proprio nel rischio di porsi troppo nella prospettiva dell’accettazione, privilegiando gli aspetti relazionali di comprensione e condivisione, ovvero nel suo contrario, spingendo il paziente verso la soluzione dei problemi in maniera indiscriminata. Quando ciò accade, ed è assai frequente, significa che il terapeuta non è in grado di mantenere una posizione dialettica, che lo rende capace di valutare in che modo agire in ogni momento della relazione terapeutica, avendo sempre presenti i due poli dell’accettazione e del cambiamento.
Obiettivi didattici:
Approccio Sistemico-Relazionale, Camillo Loriedo
Come sviluppare il sé e la comunicazione emozionale del terapeuta per attivare il cambiamento del sistema familiare
Nel Corso dell’ultimo secolo, il mondo della psicoterapia ha subito profondi e vistosi cambiamenti. Sono nati numerosi nuovi modelli, e si sono sviluppate anche numerose variazioni relative al setting, alle indicazioni terapeutiche e alla adozione di nuove tecniche.
Meno visibile è una rivoluzione silenziosa che solo in tempi più recenti inizia a diventare più evidente. Il cambiamento più profondo che si avverte nella psicoterapia contemporanea ha a che fare soprattutto con la posizione del Sé del Terapeuta, come è confermato dal crescente numero di studi dedicati a relazione terapeutica, alleanza terapeutica, controtransfert e self-disclosure, studi che testimoniano in maniera inequivocabile lo spostamento di interesse verso il terapeuta e la sua relazione con l’altro piuttosto che verso le sue tecniche.
Nella fase iniziale delle esperienze psicoanalitiche, la soggettività del terapeuta era considerata una possibile interferenza nei confronti del “campo sterile” per evitare la trasmissione dell’infezione che avrebbe inesorabilmente compromesso l’osservazione e l’interpretazione del dato obiettivo che emergeva in seduta. Con questa finalità nei “Consigli” (1912) Freud si adopera a costruire regole e confini per garantire protezione e sicurezza a entrambi i partecipanti alla relazione terapeutica e al terapeuta viene riservata la scelta obbligata dell’anonimato e della neutralità.
Solo negli anni successivi alla II guerra mondiale, il Sé del terapeuta diventa ingrediente attivo della terapia e se ne ha un importante esempio da parte di Alexander & French (1946) che evidenziano il ruolo della relazione e delle funzioni integrative del terapeuta, alcune delle quali necessarie a promuovere “l’esperienza emozionale correttiva”. Seguono profonde aperture da parte di un gruppo di psicoanalisti dotati di spirito innovativo come From-Reichman, Heiman, Little, Racker, Searles e altri, sulla necessità di valorizzare il controtransfert e di porre in primo piano il sé del terapeuta. Fondamentale è il contributo di Winnicott che sostiene con convinzione che salute e cura non possono essere ottenute solo attraverso l’insight, ma necessitano soprattutto di una nuova esperienza relazionale (1949), e secondo il quale “L’analista è in primo luogo una persona, in secondo un professionista e, solo in terzo luogo, un analista capace di esplorare l’inconscio” (Winnicott, 1971).
Analogamente al percorso seguito dalle terapie psicoanalitiche, caratterizzato inizialmente dal rifiuto di considerare il ruolo del terapeuta e delle sue emozioni, per poi giungere tardivamente ad una accettazione gradualmente più sostanziale, nella psicoterapia familiare sistemica si deve attendere lo sviluppo della Seconda Cibernetica, a partire dal 1963 con Maruyama. Grazie a questa evoluzione viene abbandonato il modello della scatola nera per poter finalmente riconoscere che le interazioni tra sistema osservato e sistema osservatore consentono di raggiungere una migliore comprensione del sistema familiare, ponendo in primo piano le dinamiche che si sviluppano tra quest’uòtimo e il terapeuta/osservatore.
Proponiamo questa presentazione dedicato alla Terapia della Famiglia Centrata sul Terapeuta in una fase di evoluzione della teoria sistemica in cui si percepisce un significativo aumento di interesse relativo al sé del terapeuta e all’importanza del suo ruolo nel cambiamento del sistema. In qualche modo, il lavoro sul terapeuta e con il terapeuta restituisce piena coerenza all’approccio sistemico, poiché all’interno di quest’approccio il cambiamento di una sola parte del sistema, risulterebbe sbilanciato e contradditorio.
Si tratta di un’evoluzione della terapia sistemica che consideriamo particolarmente avanzata perché conduce verso una visione più ampia ed equilibrata del sistema terapeutico, all’interno del quale la partecipazione del terapeuta ai processi di crescita e di sviluppo della famiglia rappresenta un valore teorico e clinico di primaria importanza.
Viene esaminato il grado di partecipazione del terapeuta a partire dalle fasi di osservazione e di valutazione che influiscono sulle relazioni familiari fin dal momento in cui il terapeuta inizia a far parte, insieme alla famiglia, di un unico sistema, sulla base dell’assunto di Barbara Betz, che considera la dinamica del terapeuta uno strumento particolarmente efficace per comprendere la dinamica della terapia (1975). Tra gli elementi chiave con cui il terapeuta partecipa tanto nelle fasi diagnostiche che in quelle successive del processo terapeutico vengono indicati aspetti del suo comportamento che sono spesso considerati marginali, come gli errori, le omissioni, le incongruenze epistemologiche, i comportamenti automatici, gli isomorfismi, le fantasie e le emozioni.
In questa forma evoluta di psicoterapia del sistema familiare vengono seguite alcune linee guida che consistono in altrettanti cambiamenti rispetto alle modalità di intervento che non hanno compiuto il passaggio dalla Prima alla Seconda Cibernetica: a) considerare il sé del terapeuta come parte costitutiva del sistema terapeutico; b) subordinare e adattare le tecniche alla relazione costruita con la famiglia e non viceversa; c) passare dal “campo sterile” all’autenticità del terapeuta; d) lasciare l’anonimato per entrare nella reciprocità della intersoggettività empatica; e) sostituire la neutralità con la detriangolazione; inserire e utilizzare nella terapia la comunicazione emozionale e la self-disclosure del terapeuta.
Abbiamo definito questo approccio: Terapia centrata sul terapeuta (Loriedo, 1978) per sottolineare il ruolo svolto dalla persona del terapeuta nel cambiamento terapeutico del sistema familiare, poiché concordiamo con Carl Whitaker (1981) quando afferma che “la partecipazione e le emozioni del terapeuta sono l’anestesia più efficace per consentire alla famiglia di affronta le difficoltà del il cambiamento.
Approccio Psicologia Clinica dell’Adolescente, Matteo Lancini
Gli adolescenti odierni manifestano i propri conflitti evolutivi attraverso un dolore muto, che non riesce a trovare parole per essere detto. Comprendere e dare senso a queste manifestazioni non è un’operazione semplice. È importante utilizzare lenti interpretative, metodi di consultazione e modelli di presa in carico sintonici con un periodo della vita caratterizzato da mobilità, incertezza e instabilità. A partire dall’inquadramento del funzionamento odierno degli adolescenti verranno presentate e discusse le caratteristiche peculiari di un modello di consultazione e psicoterapia dell’adolescente che coniuga teoria evolutiva e psicoanalitica. Particolare attenzione verrà data alla tecnica e alle scelte cliniche da effettuare in avvio, nelle prime fasi e nello sviluppo successivo della presa in carico dell’adolescente.
Obiettivi didattici:
Approccio Analisi Bioenergetica, Patrizia Moselli
Per i terapeuti di qualunque orientamento è essenziale la capacità di essere in contatto con la propria realtà interna e con quanto arriva dal mondo esterno.
Per un analista bioenergetico è estremamente significativa, ed “allenata” nel processo di formazione, la capacità di essere consapevoli di ciò che accade nel proprio corpo e del suo significato emotivo (attivato dalla propria storia), da quanto accade nel mondo esterno e, aspetto centrale, da quanto si muove nel paziente.
Un terapeuta che ha un buon grounding ha un buon rapporto con la propria corporeità e la capacità di comprendere il mondo esterno. Il suo radicamento aumenta la qualità della presenza perché gli permette di attingere al suo mondo interno e di essere attento agli aspetti impliciti ed espliciti del suo scambio con il paziente. Sappiamo bene che ogni paziente reagirà non solo a “ciò” che gli diciamo ma soprattutto al “come” comunichiamo (tono/sguardo). Il grounding ci permette di diventare agenti modulatori, di comprendere di più gli aspetti transferali e controtransferali della relazione, e di risuonare nel corpo e nell’emozione agli aspetti affettivi-corporei dell’altro. Questo facilita la possibilità di compiere movimenti terapeutici adeguati nelle situazioni critiche e di saper stare in contatto con i movimenti transferali del paziente.
Obiettivi didattici:
Approccio Terapia Familiare, Maurizio Andolfi
I problemi presentati da un figlio in eta evolutiva se non etichettati e trattati come disordini psicologi o mentali possono essere ridefiniti e rappresentare una risorsa straordinaria nella costruzione dell’alleanza terapeutica con la famiglia. I bambini possono guidare il terapeuta nell’esplorazione degli eventi familiari piu significativi, nelle impasse di coppia e nel dialogo-scontro tra le generazioni. Il genogramma familiare puo essere uno strumento molto utile nella formazione della relazione terapeutica perche rappresenta una mappa multigenerazionale della famiglia utile a orientarsi e a cogliere I punti di forza e di fragilita della famiglia come sistema affettivo.
Il caso di Ilian, un ragazzo di 11 anni che da anni ha crisi di collera nei confronti del padre e’ molto indicativo del mio modo di operare con le famiglia. Sara cosi possibile osservare come passare dalla collera del bambino alla collera e alla tristezza che ha pervaso la famiglia nell’arco di tre generazioni cosi da attivare un processo di cura e una trasformazione profonda dell’intera famiglia.
Obiettivi didattici:
I partecipanti potranno apprendere come osservare i problemi infantili in chiave relazionale, come passare da un’intervento sull’individuo alla costruzione di un’alleanza terapeutica multi generazionale e come costruire un’alleanza terapeutica con la famiglia basata sulla reciproca fiducia e sulla ricerca delle risorse tanto individuali quando grippali del sistema familiare.
Approccio Polivagale, Vincenzo Caretti
La Psicoterapia della Regolazione Emotiva è una psicoterapia integrata, body trauma oriented, il cui obiettivo è la cura delle emozioni (Mente) e delle sensazioni (Corpo) disregolate del paziente, a favore della mentalizzazione e della regolazione psico-somatica per una sua maggiore autonomia sia nello stare con se stesso, sia nelle sue relazioni interpersonali e di attaccamento.
La disregolazione delle emozioni del paziente ha un’origine evolutiva nei traumi che sono intervenuti nel suo sistema delle relazioni primarie e che in quanto non elaborati, vengono ripetuti inconsciamente negli schemi comportamentali e negli automatismi disfunzionali, anche corporei di attacco-fuga-immobilizzazione, nel qui ed ora del paziente, ovvero nella coazione a ripetere.
La psicoterapia integrata della regolazione emotiva è volta a trasformare gli stati emotivi disfunzionali e le sensazioni negative nel presente del paziente (self-regulation), con altri più funzionali al servizio del suo benessere e di nuove competenze interpersonali nell’ingaggio sociale, permettendo progressivamente al paziente di passare da un sistema relazionale chiuso a un sistema relazionale aperto e sicuro.
Il processo clinico della regolazione emotiva è un processo relazionale finalizzato alla maturazione del paziente (self-regulation) ma basato fondamentalmente sulla regolazione emotiva e somatica del terapeuta. Questa specificità consiste nell’attenzione o nell’insight che l’operatore (caregiver) utilizza per regolare il suo atteggiamento terapeutico nella relazione clinica, mentalizzando le sue emozioni, coscienti e inconsce, e le sue reazioni somatiche che intervengono in tutte le fasi della presa in carico, nell’ascolto del paziente, al servizio dell’attenzione fluttuante, dell’empatia e della sintonizzazione con il paziente. Il terapeuta utilizza questa forma di mind body insight per regolare le sue reazioni controtransferali, sia emotive che somatiche, che si producono in tutte le fasi dell’intervento, nella costruzione, rottura, riparazione e mantenimento dell’alleanza terapeutica, relativamente alla domanda di cura del paziente e al transfert del paziente di seduta in seduta.
Obiettivi didattici:
Approccio Analitico-Gruppale, Antonino Aprea
Al di là di rappresentazioni edulcorate o di vignette, sempre brevi e poco contestualizzate, la clinica terapeutica è, come sostiene lo psichiatra e fenomenologo Gilberto Di Petta, un “corpo a corpo” con il paziente. La gravità della condizione psicopatologica e la complessità delle variabili socio-familiari e istituzionali implicate nella situazione clinica rendono non di rado molto arduo il percorso. La relazione terapeutica può essere attraversata da radicali opposizioni e distanze tra le persone in dialogo piuttosto che da un’auspicabile alleanza fiduciaria e da una consensuale costruzione di senso.
Lo psicoterapeuta può trovarsi a sperimentare intense paure, per sé e per l’atro, o provare un senso di profonda disapprovazione per quei comportamenti e pensieri del paziente dei quali sarebbe piuttosto chiamato a comprendere la natura. Un proverbio cinese afferma che “l’ombra più oscura è sotto la lampada”: il punto più buio è collocato proprio sotto quello più luminoso. L’accettante prossimità emotiva e la necessaria sicurezza esplorativa del clinico sono strettamente imparentate con i loro opposti: il distanziante giudizio morale e la contrazione costrittiva della paura. Eppure, a guardare bene, agli antipodi di quella che dovrebbe essere la “buona clinica” sembra esistere una terra pericolosa e inospitale ma ricchissima di potenzialità di comprensione e trasformazione.
Lo spunto per esplorare questa “terra” sarà una storia clinica che prende le mosse dall’emergere di esperienze psicotiche in un adolescente affrontata clinicamente in una prospettiva di intervento analitico multi-personale.
Obiettivi didattici:
Approccio Terapia di Coppia e Familiare, Laura Fino
Nella terna di saperi – sapere, saper fare e saper essere – quest’ultimo riveste un ruolo centrale nello sviluppo della relazione terapeutica. Al di là della specificità di ogni approccio e orientamento psicoterapeutico, la qualità della relazione che si crea e si sviluppa tra il terapeuta e il paziente (che sia individuo, coppia o famiglia) rappresenta un fattore aspecifico determinante nel percorso di terapia.
Cosa caratterizza il “Saper essere” del terapeuta? Il nuovo dialogo tra neuroscienze e intersoggettività, la prospettiva interpersonale, gli approcci bottom-up, gli spunti forniti dalla mindfulness hanno riportato in primo piano l’unicità della persona, tra corpo, emozioni e pensiero. Nel nostro “Saper essere” non possiamo prescindere dall’integrazione tra questi diversi piani dell’esperienza umana, per noi e per i nostri pazienti, coi quali condividiamo bisogni universali, quelli della Connessione Interpersonale.
Esploreremo come tutti questi apporti possono integrarsi nel “saper essere” del terapeuta e nei diversi contesti della terapia: individuale, di coppia e familiare. Ci confronteremo su come “stare con l’altro”, il “something more” di cui parla Stern, permetta una maggiore connessione e sintonizzazione con coloro che ci troviamo ad affiancare per un tratto della loro vita.
Approccio Acceptance and Commitment Therapy (ACT), Paolo Moderato e Anna Prevedini
La terapia del comportamento nasce con la negazione chiara e assoluta del valore della relazione e con l’affermazione totale della centralità della tecnica. Nel corso della sua complessa evoluzione, la CBT è passata da una visione meccanicista che porta alla mera applicazione di tecniche finalizzate all’eliminazione dei sintomi-problemi, allo sviluppo di procedure terapeutiche che conducano a un processo di guarigione in continuo divenire. L’ACT, insieme ad altri modelli comportamentali e cognitivi di stampo contestualista come la FAP e la DBT, ha giocato un ruolo primario in questa transizione. Una nuova dimensione di relazione é diventata centrale in questo processo.
Obiettivi didattici:
Approccio Sessuologico, Chiara Simonelli
Considereremo le nuove classificazioni del DSM-5 (2013) che ci lasciano poco soddisfatti poiché puntano tutto sul dolore preferendo la definizione della Fourth International Consultation on Sexual Medicine(2016): “Si tratta di una difficoltà persistente a consentire l’ingresso nella vagina di pene, dito, speculum e di ogni altro oggetto, nonostante la donna dichiari il desiderio di farlo.”
Nel DSM-5 invece vengono accomunate disfunzioni da dolore (dispareunia, endometriosi, et al.) realmente esperito dal corpo femminile col vaginismo in cui emerge sempre la paura di provare dolore con la messa in atto, quasi sempre involontaria, di strategie di evitamento del dolore stesso.
Affrontare una richiesta di intervento clinico per questa disfunzione sessuale femminile è molto frequente per chi lavora nel campo della sessualità.
I tassi di prevalenza variano dal 5% all’81% nei campioni clinici e dallo 0,4% al 6,8% nei campioni non clinici.
Alcuni colleghi preferiscono spostare il focus sulla coppia e fanno diagnosi di Matrimonio non consumato includendo anche il partner nella diagnosi e nel trattamento.
Ci addentreremo insieme sulla diagnosi della singola donna e, quando possibile del/della partner, specialmente quando la richiesta di aiuto riguarda una coppia che esprime il desiderio di procreare.
Nel modello biopsicosociale si collabora fin dalle prime fasi col ginecologo/a arrivando a definire diagnosi e prognosi e le priorità terapeutiche che via via vengono condivise con la paziente e la coppia.
Il progetto terapeutico può variare e in questo nostro incontro verranno illustrate le opzioni più efficaci attraverso un caso clinico emblematico con l’illustrazione degli elementi più ricorrenti riscontrati in decenni di lavoro e supportate dalla letteratura internazionale.
Verranno dati cenni di altri casi clinici meno frequenti in maniera da poter avere un quadro clinico più completo.
Approccio Compasssion Focused Therapy (CFT), Nicola Petrocchi
Il concetto di compassione non è certo nuovo. Non solo le tradizioni contemplative orientali, ma anche Aristotele ne aveva sottolineato l’importanza nella vita di tutti e delineato gli ingredienti cognitivi. Ciò che invece è relativamente nuovo è il crescente interesse scientifico, soprattutto in ambito clinico e di neuroscienze, verso questo potente stato motivazionale prosociale, squisitamente umano, che misteriosamente si affianca a tratti, altrettanto umani, di drammatica callosità ed egoismo.
In questo incontro Nicola parlerà di qual è la definizione più attuale di compassione dal punto di vista evoluzionistico che è al cuore della Compassion Focused Therapy, illustrando anche gli aspetti neuroscientifici e fisiologici di questa motivazione. Lo farà al solo scopo di mostrare, con momenti esperienziali ed esempi clinici, come questo stato motivazionale possa informare gli scambi terapeutici in modo da renderli un terreno fertile e sicuro per le esplorazioni coraggiose che ogni psicoterapia implica, per il paziente come per il terapeuta.
Approccio Trauma-Informed, Giovanni Tagliavini
Approccio Psicologia Clinica, Giuseppe Craparo
Considerato come uno dei concetti chiave del lavoro psicoterapeutico, si è sempre più avvertito l’esigenza, alla luce dell’inevitabile partecipazione attiva e affettiva del terapeuta nella relazione col paziente, di riflettere sulla funzione della self-disclosure del terapeuta. Ma cosa può svelare il terapeuta di sé al paziente? In che modo svelarsi al paziente aiuta il processo terapeutico? In che rapporto è lo svelamento di sé, da parte del terapeuta, con la richiesta al paziente di svelarsi? Quanto il mondo digitale influenza la self-disclosure?
A queste e ad altre domande si cercherà di rispondere a partire da un excursus concettuale sull’argomento, servendosi anche di esemplificazioni cliniche, come quella di C., un paziente psicotico con ideazioni paranoidee, che, durante un transfert delirante, accusa il terapeuta di essere alleato della mafia. Di fronte all’accusa del paziente di non sapere nulla del terapeuta, cosa che alimenta le sue angosce persecutorie, il terapeuta lo invita, se vuole, a chiedergli della sua vita per rispondere alle sue curiosità. Si tratta di un invito che ha lo scopo di lenire le angosce persecutorie del paziente, al fine di non alimentare le sue credenze deliranti che per quanto siano “reali” non sono “vere”. È una soluzione da applicare a tutte le situazioni o con tutti i pazienti deliranti? Certamente no. il terapeuta è chiamato, volta per volta, a comprendere a chi e a cosa serve la propria autorivelazione.
Obiettivi didattici:
Approccio Psicoanalitico, Luigi Zoja
Malgrado l’apparente legame, depressioni profonde e suicidio non si rivelano così connessi come ci si attenderebbe.
Gran parte delle depressioni profonde hanno innegabili risvolti organici. Viceversa il suicidio di una persona formalmente e giuridicamente capace ha un aspetto di scelta esistenziale. Negarlo – soprattutto a posteriori, come spesso avviene (“L’ho conosciuto bene e so che non l’avrebbe mai fatto”) – significa offendere l’umanità del paziente. Essa può includere anche questo, che Camus considerava il problema filosofico fondamentale.
Come casistica si presenteranno una paziente di mezza età, che dopo anni di terapia analitica molto diluita ha conseguito un miglioramento. E un artista che invece si è ucciso, avuto in analisi molte decine di anni fa, nel quale una predisposizione al suicidio era presente già fra i ricordi più antichi e quasi completamente rimossi.
Approccio Trauma-informed, Annalisa Di Luca
Come terapeuti siamo a volte chiamati ad occuparci di fatti in precedenza indicibili, spesso nascosti da strati di vergogna o rabbia, sensi di colpa. Quando siamo chiamati a trattare il trauma dell’abuso, non possiamo negare che è molto attivante, anche allarmante. Il coraggio di riuscire a tenere nella nostra testa narrazioni così faticose, è il primo strumento terapeutico che bisogna avere. Guardare dritta negli occhi la realtà, anche quando ad esempio riguarda l’abuso sessuale materno non è per nulla semplice. I fatti traumatici sono spesso avvolti da nebbie difensive di matrice dissociativa che possono talvolta investire anche chi è chiamato ad avere cura, non solo chi ha vissuto direttamente queste esperienze.
Bisogna poi dire che le vittime di abusi presentano spesso sintomatologie ulteriormente attivanti: sviluppano diverse problematiche come autolesionismo, ideazione suicida, depressione, ansia, disturbi di personalità e abuso di sostanze stupefacenti (Gannon & Cortoni, 2010). Una tipica risposta è la dissociazione. Le vittime, oltre alla fuga psicologica, sviluppano sintomi come ansia, fobie, difficoltà di sonno, disturbi alimentari e disturbo ossessivo-compulsivo. Frequenti sono i sentimenti di vergogna e stigma (Courtois, 2010).
Il sentirsi traditi porta le vittime ad avere scarsa fiducia in sé stesse e negli altri e ad esprimere frequentemente sentimenti di rabbia e sfiducia. Inoltre, l’abuso porta a conseguenze negative sia nella sfera relazionale sia in quella sessuale. Quando l’abusante è una donna, la madre, la persona ha avuto difficoltà nello sviluppare un senso di sé autonomo, il bisogno di validazione e l’invischiamento sono così estremi che possono portare allo sviluppo di una psicosi (Gannon & Cortoni, 2010).
La relazione terapeutica sarà necessariamente intrisa da tutto questo.
Saremo capaci di avere cura o di riconoscere il nostro desiderio di s-fuggire?
Approccio Metacognitivo Interpersonale, Antonio Semerari
L’intervento si propone di confrontare le diverse teorie della relazione terapeutica formulate nella storia della psicoterapia.
Le diverse teorie vengono brevemente riassunte ponendo in luce:
Dalla rassegna emergono cinque teorie fondamentali relative ai fatti della relazione e sei modelli riferiti all’effetto terapeutico della relazione. Questi diversi modelli verranno discussi.
Le registrazioni dei corsi a cui ti sei iscritta/o sono elencati nella tua Area Riservata, a cui puoi accedere effettuando il login. Ciascun corso, gratuito e/o a pagamento, ti rimane accessibile per 12 mesi dalla data di registrazione, salvo differenti informazioni fornite nel programma.
L’eventuale presenza di crediti ECM, ed il relativo numero di crediti, viene indicata ad inizio pagina e nel box di iscrizione. Se presenti, all’interno del programma c’è un paragrafo “Crediti ECM” in cui poter visualizzare la data a partire dalla quale potrai effettuare il quiz ECM e la data massima entro cui riuscire a superarlo con successo. Tali informazioni e date sono riportate anche nel box di iscrizione.
Per calcolare le tempistiche di accreditamento bisogna far riferimento alla “Data di scadenza del Quiz ECM” indicata nello specifico corso di formazione, NON alla data in cui viene superato il Quiz ECM. La data di scadenza del Quiz ECM la trova indicata nella pagina del corso, sia nel box di iscrizione che nel paragrafo dedicati a Crediti ECM.
Ebbene, entro 90 giorni dalla data di scadenza del Quiz ECM dobbiamo comunicare i dati ad AGENAS. A sua volta AGENAS trasmetterà i dati al COGEAPS e solo a quel punto le risulteranno accreditati.
Mediamente, consigliamo quindi di calcolare circa 4 mesi dalla data di scadenza del Quiz ECM. Precisiamo, in ogni caso, che l’Attestato di acquisizione ECM del corso a cui ha partecipato, vale come certificazione dei crediti acquisiti.
Sì, il corso rilascia un attestato di partecipazione.
Tutti i corsi di FCP, con speaker internazionali, dispongono di traduzione in italiano. In particolare: i Corsi online e le Master Class dispongono di interpretariato simultaneo, i Corsi Ondemand dispongono di sottotitolazione e/o voice over in italiano, i Corsi residenziali – in-person – dispongono di interpretariato simultaneo o consecutivo. Tali informazioni vengono generalmente specificate sulla pagina di presentazione di ciascun corso.
La presenza di materiale extra dipende dal docente e dal corso specifico: solitamente ci sono pdf contenenti i power point del docente.
7 recensioni per questo corso
MARIA CANDIDA BATTEZZATI –
MOLTO INTERESSANTE
DONATELLA BOTTIGLIERI (proprietario verificato) –
Ottima proposta formativa
Teresa Bombino (proprietario verificato) –
Non tutti i relatori hanno affrontato la loro esperienza diretta nella relazione terapeutica
FABIO AMENTA (proprietario verificato) –
Lezione Chiara ed esaustiva.
Barbara Moro (proprietario verificato) –
Parte iniziale con la Prof.ssa Lobb davvero splendida!