Il trattamento dei Disturbi Dissociativi

Bethany Brand, PhD, è professoressa di psicologia alla Towson University ed è specializzata nella valutazione e nel trattamento dei disturbi correlati al trauma. Ha oltre 30 anni di esperienza clini...
trattamento dei Disturbi Dissociativi

Questa revisione ad opera di Bethany Brand esamina i risultati empirici sul trattamento dei disturbi dissociativi (DD).

 

Collettivamente, questi rapporti suggeriscono che il trattamento dei disturbi dissociativi è associato a una diminuzione dei sintomi di dissociazione, depressione, disturbo da stress post-traumatico, angoscia e tendenze suicide. Le dimensioni degli effetti, basate sulle misure pre/post, sono comprese tra le medie e le grandi dimensioni negli studi.

I pazienti con disturbo dissociativo che integravano i loro stati del Sé dissociati presentavano una sintomatologia ridotta rispetto a quelli che non si integravano. L’entità delle dimensioni dell’effetto pre/post per questi studi è paragonabile alle dimensioni dell’effetto pre/post negli studi di trattamento del disturbo da stress post-traumatico complesso.

Ci sono limitazioni metodologiche significative nell’attuale letteratura sugli esiti del trattamento dei disturbi dissociativi che riducono la validità interna ed esterna, inclusa la regressione verso la media, dimensioni del campione limitate e progetti di ricerca non randomizzati. Vengono discusse le implicazioni per la ricerca futura e la pianificazione del trattamento per i pazienti affetti da DD.

Traumatizzazione cronica, PTSD e Disturbi Dissociativi

Ad oggi, sono molte le ricerche relative a trattamenti efficaci per il disturbo da stress post-traumatico (PTSD; Bradley et al., 2005). Per quanto nel campione di alcuni di questi studi di outcome sul PTSD siano stati inclusi adulti sopravvissuti ad abusi nell’infanzia, la gran parte di essi escludono partecipanti suicidari o con disturbi in comorbidità.

Ne deriva un campione che è spesso rarefatto e non rappresentativo della popolazione degli individui con traumatizzazione cronica, in particolare per quanto attiene ai casi di abusi subiti nell’infanzia. Le conseguenze dell’abuso nell’infanzia, in particolare qualora esso sia proseguito negli anni formativi dello sviluppo infantile, vanno ben oltre i criteri diagnostici del DSM-IV-TR per il PTSD. I sopravvissuti all’abuso infantile cronico possono riportare problemi in vari ambiti evolutivi, tra cui la regolazione delle emozioni, il funzionamento interpersonale, l’auto-percezione, la cognizione e il controllo degli impulsi (Allen et al., 2000; Cloitre et al., 2002; Cohen and Hien, 2006; Ford et al., 2005; McDonagh et al., 2005; Sachsse et al.,2006).

A differenza del PTSD “semplice” che provoca i sintomi menzionati nel DSM-IV-TR, secondo i ricercatori l’abuso cronico nell’infanzia porta a una grande varietà di sintomi psicologici per i quali si parla di PTSD Complesso (van der Kolk et al., 1993) o Disturbo da Stress Estremo Non Altrimenti Specificato (Herman,1992). I Disturbi Dissociativi (DD), in particolare il Disturbo Dissociativo dell’Identità (DDI) e i disturbi dissociativi non altrimenti specificati (DDNOS) evidenziano, anch’essi, una forte correlazione con una storia di abusi cronici nell’infanzia.

 

Studi sul trattamento dei disturbi dissociativi

Per quanto vi siano alcuni studi clinici controllati (e il numero è destinato a crescere) che si focalizzano sul trattamento di adulti sopravvissuti ad abusi nell’infanzia, non esistono studi clinici controllati per il trattamento dei disturbi dissociativi.

Questo articolo prende in esame le evidenze scientifiche sul trattamento dei disturbi dissociativi e i limiti e le sfide dell’organizzazione di studi clinici controllati su questi pazienti e formula delle indicazioni per il futuro della ricerca.

 

Le sfide del PTSD complesso e dei disturbi dissociativi

I pazienti che hanno un PTSD complesso o un disturbo dissociativo hanno spesso varie diagnosi psichiatriche, portano avanti comportamenti di autodistruzione e molteplici tentativi di suicidio che pongono anche i terapeuti più esperti di fronte a dilemmi clinici (Allen et al., 2000;Cohen and Hien, 2006; Foote and Seaman, 2007) e mettono fine prematuramente al trattamento, o riportano peggioramenti nel corso della terapia (Pitman, et al., 1991; Tarrier et al., 1999).  In ragione delle sfide poste dal trattamento di tali pazienti, molti ricercatori che hanno studiato il PTSD si sono focalizzati su pazienti con PTSD “semplice” e non Complesso.

Prendendo atto di questo limite, Bradley et al. (2005), nella loro meta-analisi degli studi clinici controllati randomizzati (RCT) sul PTSD, hanno invitato i ricercatori a guardare al trattamento di “pazienti poli-sintomatici con traumi infantili ripetuti (p. 222), “in quanto la ricerca, in generale, ha trascurato il PTSD Complesso”.

Ad esempio, secondo le rilevazioni degli autori, il 62% degli studi sul PTSD presi in esame escludevano pazienti che facevano uso, al momento dello studio, di alcol o droghe e il 46% escludevano pazienti a rischio suicidio. Inoltre, anche i pazienti con DD sono esclusi, spesso, dalla ricerca sul trattamento del PTSD, persino in 2 studi mirati sul trattamento di sopravvissuti ad abusi sessuali nell’infanzia (Cloitre et al., 2002; McDonagh et al., 2005).

 

Disturbi Dissociativi Complessi: come trattare i Traumi di Attaccamento?

Disturbi Dissociativi Complessi

 

Esclusione dagli studi del trattamento dei disturbi dissociativi

Visto che i pazienti con DD sono spesso esclusi dagli studi sul trattamento, in maniera esplicita o implicita, è necessario svolgere studi di outcome su questa popolazione.

La prevalenza dei DD nei ricoveri psichiatrici in America del Nord ed Europa varia tra il 5% e il 21% (Gast, 2001; Friedl & Draijer, 2000;Ross et al., 1991; Saxe et al., 1993; Tutkun et al., 1998) e tra il 12% e il 29% nei setting non ospedalieri (Foote et al., 2006; Sar et al.,2000).

I pazienti per i quali viene formulata la diagnosi di DDI, ossia la forma più grave di DD, sono associati ai costi psichiatrici più elevati tra i pazienti aventi diritto a indennità di disabilità psichiatrica nel Massachusetts (van der Kolk, 2008), il che ci fa supporre che vi siano anche ragioni economiche per cui è fondamentale individuare trattamenti efficaci per questa popolazione. Riteniamo sia di primaria importanza che vengano svolti studi di outcome per dare basi solide al trattamento dei disturbi dissociativi.

 

Rassegna della letteratura sul trattamento dei disturbi dissociativi

L’obiettivo di questo articolo è passare in rassegna la letteratura sul trattamento dei disturbi dissociativi, compresi DDI, DDNOS, disturbo di depersonalizzazione (DPD) e convulsioni dissociative.

Abbiamo fatto una ricerca sugli articoli di PsycInfo e Medline, usando combinazioni delle parole di ricerca: trattamento, terapia, psicoterapia, intervento, disturbi dissociativi, disturbo dissociativo dell’identità, disturbo da personalità multipla, fuga dissociativa, amnesia dissociativa, disturbo di depersonalizzazione e disturbo dissociativo non altrimenti specificato.

Abbiamo anche analizzato i riferimenti bibliografici degli studi individuati, nonché il sommario di riviste. Sono rientrate nello studio solo le ricerche con dati di outcome ottenuti in maniera sistematica relativamente al trattamento dei disturbi dissociativi.

La prima parte presenta una rassegna dei casi di studio e casistiche che forniscono dati sistematici. Nella seconda parte abbiamo riassunto e rivisto le conclusioni di studi di outcome e, quando possibile, abbiamo riportato la dimensione dell’effetto. Nella terza parte abbiamo svolto una comparazione tra la dimensione dell’effetto negli studi di trattamento sui DD negli adulti e il PTSD Complesso dovuto ad abusi nell’infanzia. Infine, vengono discusse le difficoltà di svolgere ricerche su questa popolazione e formulati suggerimenti per futuri studi di outcome per il trattamento dei DD.

 

Casi di studio e casistiche

Sono stati svolti molti casi di studio sul trattamento di DDI e DDNOS; quelli svolti con pazienti cui è stato diagnosticato un DDI e/o DDNOS in America del Nord, Turchia, Paesi Bassi, Italia, Norvegia e Puerto Rico hanno evidenziato effetti positivi del trattamento dei disturbi dissociativi (Cagiada et al., 1997; Hove et al., 1997; Martinez-Taboas andRodrigues-Cay, 1997; Sar & Tutkun, 1997; Sar et al., 2002; van der Hart and Boon, 1997).

Sono molti gli approcci teorici che, secondo gli studi, sono efficaci, tra cui:

  • la terapia cognitivo-comportamentale (Caddy, 1985; Martinez-Taboas & Rodriguez-Cay, 1997);
  • l’ipnosi con trattamento psicofarmacologico (Cagiada et al., 1997; Hove et al., 1997);
  • la terapia psicodinamica (McNevin and Rivera,2001);
  • il trattamento fenomenologico (Ellerman, 1998);
  • il trattamento contestuale (Gold et al., 2001);
  • la terapia cognitivo-analitica (Kellett,2005);
  • il trattamento informato sul femminismo (Riggs and Bright, 1997);
  • il trattamento aggiuntivo con la Desensibilizzazione e Rielaborazione attraverso i Movimenti Oculari (EMDR; Young, 1994).

Analisi di outcome pre e post trattamento

Molti di questi casi di studio e casistiche si basano sulle osservazioni cliniche del curante o sull’analisi delle cartelle cliniche. Tuttavia, alcuni di essi forniscono anche dati sistematici. Abbiamo analizzato casi di studio e casistiche per i quali erano disponibili dati di outcome pre e post trattamento relativamente a pazienti con DD.

Nelle relazioni analizzate, le valutazioni di follow-up sono state svolte in un intervallo di tempo che va da qualche mese a 10 anni. Le relazioni suggeriscono che sia possibile trattare efficacemente il DDI in modo che i pazienti non rientrino più nei criteri del DDI o che, oltre a un miglioramento dei sintomi, si registrino miglioramenti anche in altre aree, comprese le diagnosi di Asse 1 e Asse 2 in 1 caso (Sar et al.,2002).

Le casistiche evidenziano un tasso di abbandono della terapia (tasso di drop-out) elevato (Coons & Stern, 1986; Coons & Bowman, 2001) e, come intuibile, suggeriscono che i miglioramenti più sostanziali sono raggiunti da chi prosegue il trattamento, comprese fusione e integrazione delle personalità.

 

Limiti e vantaggi degli studi sulle casistiche

I limiti degli studi sulle casistiche sono legati a mancanza di misure standardizzate, risultati scarsamente generalizzabili, possibile bias negli studi e caratteristiche dei requisiti. Tuttavia, le conclusioni delle casistiche forniscono evidenze preliminari circa il fatto che un sottoinsieme sostanziale di individui con diagnosi di DD potrebbero beneficiare da un trattamento specialistico del DD, anche se svolto da clinici agli inizi della loro carriera.

Per quanto casi di studio e casistiche si avvalgano di valutazioni basate su misurazioni oggettive, non stiamo parlando di studi clinici controllati e, pertanto, non è possibile trarre conclusioni solide circa l’efficacia del trattamento.

 

Un’eccezione

Fa eccezione un caso di studio rigoroso svolto da Kellett (2005), che riporta i risultati di un trattamento su un paziente con DDI con terapia cognitivo-analitica per 24 sedute, cui se ne aggiungono 4 di follow-up. Lo studio su caso singolo di Kellett ha usato il disegno “AB” (compilazione di varie autovalutazioni quotidiane per 35 giorni prima del trattamento, seguite da 175 giorni di trattamento e 168 giorni di follow-up). Tale impostazione rigorosa ha consentito a Kellett di dimostrare che i sintomi del paziente in termini di depressione e dissociazione sono diminuiti con interventi mirati, mentre non diminuivano in precedenza.

Ne possiamo concludere che i miglioramenti del paziente erano dovuti a fattori specifici e non a fattori non specifici né erano semplicemente legati al passare del tempo. Per quanto si siano registrati miglioramenti clinicamente significativi per depressione e dissociazione, il paziente rientrava ancora nei criteri diagnostici del DDI alla fine del trattamento.

Malgrado i limiti della metodologia dei casi di studio, ivi compresi i risultati scarsamente generalizzabili, dei risultati, possibile bias degli esperimenti, caratteristiche dei requisiti e mancanza di controllo sperimentale, gran parte di questi casi di studio dimostrano gli effetti positivi di vari trattamenti. Il caso di studio di Kellett (2005) su singolo paziente ha usato un’impostazione di studio rigorosa che ha fornito evidenze chiare circa i benefici del trattamento dei disturbi dissociativi.

 

Studi di outcome del trattamento dei Disturbi Dissociativi

Abbiamo analizzato 8 studi di outcome non randomizzati relativi al trattamento di DDI, DDNOS, DPD e convulsioni dissociative in cui, ove possibile, è stata riportata la dimensione dell’effetto. Questi studi comprendevano sia pazienti ricoverati  (Choe & Kluft, 1995; Ellason & Ross, 1996, 1997, 2004; Ross & Burns, 2007; Ross & Haley,2004; Ross & Burns, 2007) sia pazienti inseriti in programmi sul trauma (Goldstein et al., 2004; Hunter et al., 2005; Gantt & Tinnin, 2007).

La gran parte degli studi, ma non tutti, specificano la durata del trattamento. I trattamenti al di fuori del setting ospedaliero andavano da 4 a 20 sedute, mentre i trattamenti per pazienti ricoverati andavano da 1 a 3 settimane. I programmi relativi ai pazienti ricoverati erano tutti programmi specialistici con un focus sul trauma o i disturbi dissociativi. A seguito del trattamento in setting ospedaliero, alcuni programmi prevedevano un ulteriore trattamento con programma da seguire al di fuori dell’ospedale o in ricovero parziale (Ellason & Ross, 1996, 1997, 2004; Ross & Ellason, 2001; Ross & Haley, 2004).

 

Dati e descrizioni dei trattamenti negli studi analizzati

In generale, scarseggiano le descrizioni dei trattamenti forniti in questi studi di outcome; si specifica che, solitamente, nei programmi in setting ospedaliero la terapia era sia individuale sia di gruppo (es. Choe & Kluft, 1995; Ross & Haley, 2004). Tra le modalità di trattamento: terapia cognitivo-comportamentale (TCC), arte terapia, ipnosi, psicoeducazione e terapia esperienziale. Solo 1 studio prevedeva un intervento manualizzato (Goldstein et al., 2004).

In alcuni studi troviamo solo dati pre e post trattamento (Choe & Kluft, 1995; Ellason & Ross, 2004; Ross & Burns, 2007), mentre altri forniscono dati di follow-up che vanno da 3 mesi a 2 anni (Ellason & Ross, 1996, 1997, 2004; Goldstein, et al., 2004; Ross & Haley, 2004; Hunter et al., 2005; Gantt & Tinnin, 2007).

Questi studi riportano evidenze preliminari circa il fatto che il trattamento riduce una serie di sintomi associati ai disturbi dissociativi, comprese depressione, ansia, diagnosi di Asse I e II e sintomi dissociativi.

 

Integrazione

I pazienti con DDI che arrivano all’integrazione mostrano miglioramenti più sostanziali in tutti i criteri misurati rispetto a coloro per i quali non si verifica l’integrazione (Ellason & Ross,1996, 1997, 2004), per quanto i cambiamenti in termini di diagnosi siano meno diffusi. I pazienti integrati hanno punteggi migliori per depressione dissociazione, somatizzazione, sintomi di primo rango, caratteristiche borderline, disturbi di asse I e II (Ellason & Ross, 1997).

Prendendo in considerazione tutte le casistiche e gli studi, le stime di piena integrazione vanno dal 16,7% al 33% dei pazienti con DDI (Coons & Sterne, 1986; Coons & Bowman, 2001; Ellason & Ross, 1997) e un follow-up più corto si correla a livelli inferiori di integrazione (Coons & Sterne, 1986; Ellason & Ross, 1997). Le casistiche per le quali non sono state utilizzate misure standardizzate riportano tassi di integrazione più elevati (es.: 66% nello studio di Kluft, 1984).

 

Limitazioni degli studi di outcome

Per quanto si tratti di conclusioni preliminari incoraggianti, è importante riconoscere che questi studi di outcome presentano svariati limiti metodologici. La mancanza di controllo rende difficile determinare se il cambiamento sia legato al trattamento o ad altre variabili, come il passare del tempo o la regressione verso la media.

Esiste inoltre un bias di selezione in molti di questi studi. I pazienti non sono selezionati in maniera casuale e spesso non sono selezionati in maniera sistematica, per quanto per alcuni studi l’ammissione agli stessi fosse subordinata al verificarsi di ricoveri in successione (Goldstein, et al., 2004; Ross & Haley, 2004).

Come noto, il tasso di drop-out è un problema in molti studi (Ellason & Ross, 1996, 1997, 2004; Gantt & Tinnin, 2007), mentre in altri non viene riportato (Ross & Burns, 2007; Ross & Ellason, 2001). Uno studio su pazienti non ricoverati ha riportato un tasso di drop-out pari a zero (Hunteret al., 2005).

Per alcuni di questi studi, il fatto che il campione sia ridotto è un limite, il che non ci sorprende se teniamo conto della popolazione in oggetto. Lo svolgimento di molteplici test senza modifica del valore p è un altro limite. Tenendo conto dei suddetti limiti, possiamo dire che non è accertata la possibilità di generalizzare i risultati ottenuti.

 

Effect size (dimensione dell’effetto)

In otto studi i dati di outcome ottenuti sono stati sufficienti per avere la dimensione dell’effetto (ES, effect size). Il tipo di ES usato è stato Hedges g, che implica un assunto meno restrittivo sulle deviazioni standard in entrambi i periodi di tempo (Kline, 2005).

Le ES sono riportate in maniera che un’ES positiva indichi il cambiamento nella direzione auspicata, mentre una negativa indichi il cambiamento in direzione opposta. In 94 casi l’ES era legata alle dimissioni del paziente e in 24 a un follow-up più lungo.

Usando il software MiMa (Viechtbauer, 2006), sviluppato per l’ambiente computazionale R per linguistica e statistica (R Development Core Team,2008), sono state calcolate le ES negli studi, per il tipo di outcome e secondo la durata del follow-up, usando un modello a effetto misto. L’ES complessiva è stata 0,71, con un’ES per dimissioni leggermente più elevata (0,72) e un follow-up più lungo lievemente inferiore (0,66). L’ES, prendendo in considerazione tutti gli studi, andava da un massimo di 1,82 (Ross & Burns, 2007) a un minimo di 0,36 (Goldstein et al., 2004).

Delle 118 ES, 64 erano riferite a outcome relativi a 8 categorie: sintomi legati all’ansia, sintomi da DBP, sintomi di depressione, sintomi di dissociazione, distress generale, sintomi somatoformi, uso di sostanze.

 

Finding Solid Ground Program: come Stabilizzare Pazienti con Sintomi Dissociativi

Finding Solid Ground Program: come Stabilizzare Pazienti con Sintomi Dissociativi Complessi

 

Raffronto con altri studi sul trattamento degli abusi nell’infanzia

Abbiamo analizzato 6 studi di outcome relativi al trattamento in terapia individuale di adulti che, per il 25%, riportavano una storia di abusi infantili. Non sono stati inclusi studi relativi alla terapia di gruppo. Di questi studi, tre erano controllati randomizzati (Cloitre et al., 2002;Cottraux et al., 2008; McDonagh et al., 2005). In due di essi le condizioni di controllo erano non randomizzate (Cohen & Hien,2006; Sachsse et al., 2006) e in 1 studio non era presente il gruppo di controllo (Allenet al., 2000). I tassi di drop-out sono analoghi agli studi sui DD e più elevati per alcuni di essi.

L’ES standardizzata media (Hedge g) è stata calcolata sottraendo la media pre-trattamento dalla media post-trattamento per il raffronto all’interno dei gruppi e sottraendo la media del gruppo di confronto da quella del gruppo di trattamento per il raffronto tra gruppi. È stata usata la deviazione standard campionata (pooled) come elemento standardizzante per tutti i calcoli dell’ES (Kline, 2005).

Risultati sulla dimensione dell’effetto

I dati mostrano che ci sono state 37 ES da 6 studi con 10 outcome, di cui 24 erano ES pre-post e 13 erano ES da raffronto tra trattamenti. In 24 casi l’ES era per dimissioni e in 13 era per follow-up più lungo. L’ES media per tutti gli studi, sia pre-post sia nel raffronto tra trattamenti, era 0,48. L’ES media per gli studi andava da 1,25 (Cloitre, et al., 2002) a 0,16 (Cohen & Hien,2006).

La dimensione dell’effetto per il raffronto all’interno dei gruppi (pre-post e follow-up) era in media più elevata dell’ES per il raffronto tra trattamento e gruppo di confronto. L’ES per gli outcome legati alla dissociazione è stata 0,94, per il funzionamento globale 0,49, per i sintomi da PTSD 0,61 e per la depressione 0,98. Gli studi con tempistiche di follow-up ridotte (es.: al momento delle dimissioni) hanno evidenziato un’ES decisamente analoga a quelli con follow-up più lungo.

Per riassumere, per una molteplicità di sintomi, la portata degli effetti associati al trattamento dei disturbi dissociativi è analoga a quella osservata per donne in trattamento per PTSD cronico associato ad abusi nell’infanzia in setting ospedaliero ed extra-ospedaliero.

 

Evidenze preliminari sul trattamento dei disturbi dissociativi

Questa rassegna della letteratura relativa al trattamento dei disturbi dissociativi (DD) illustra una grave mancanza di studi ben strutturati circa il trattamento di tali disturbi. Tuttavia, questi casi di studio, casistiche e studi di outcome ci danno evidenze preliminari su trattamenti efficaci per DDI, DDNOS, DPD e convulsioni dissociative e suggeriscono che il trattamento di questi disturbi potrebbe avere un impatto positivo su una serie di sintomi correlati.

Per quanto gli studi lascino pensare a un outcome positivo, non possiamo trarne conclusioni definitive. Esistono varie problematiche in questi studi e servono ricerche più solide a livello metodologico. Un altro problema di molti di questi studi consiste nel fatto che non viene descritto nel dettaglio il trattamento o, in alcuni casi, non viene descritto affatto.

Uno studio ha analizzato un intervento manualizzato breve, per quanto non evidenziasse nessuna altra forma di controllo (Goldstein et al., 2004). Solo 1 studio era controllato: uno studio su un singolo caso (Kellett, 2005) che ha fornito la descrizione dell’intervento nonché evidenze chiare sull’impatto positivo della terapia cognitivo-analitica nel trattamento del DDI. Servono ancora ricerche di questo tipo.

 

Cosa suggeriscono gli studi di outcome?

Per quanto non si possano trarre conclusioni certe, questi studi di outcome fanno pensare che i pazienti con DD traggano benefici dalla trattamenti con un focus specifico sulle patologie dissociative. Le evidenze empiriche derivanti da questi studi osservazionali non controllati suggeriscono che il trattamento dei DD per DDI, DDNOS, DPD e convulsioni dissociative si correli a miglioramenti nei sintomi di dissociazione, depressione, distress generale, ansia e PTSD.

Altri outcome favorevoli evidenziati sono la riduzione nell’uso di farmaci e un miglioramento nel funzionamento professionale e sociale. Tuttavia, poiché le evidenze sono legate a studi non controllati, non possiamo escludere la possibilità che i pazienti con DD sarebbero migliorati anche senza trattamento. Per quanto tale ipotesi ci sembri improbabile, potrà essere confutata solo con studi clinici controllati.

 

Risultati di casi di studio e casistiche

Casi di studio e casistiche indicano che molti pazienti continuano ad avere sintomi. Le stime circa l’integrazione degli stati dissociativi variano e potrebbero dipendere da molteplici fattori, tra i quali le caratteristiche dei pazienti, l’esperienza del terapeuta e la durata del trattamento.

La portata degli effetti per dissociazione, depressione e PTSD negli studi sul trattamento dei disturbi dissociativi è comparabile a quella osservata in studi pubblicati su pazienti ricoverati e non, con PTSD complesso associato ad abusi infantili, il che denota che il trattamento dei disturbi dissociativi è indicativamente tanto efficace quanto quello per gli abusi nell’infanzia.

Malgrado le imperfezioni, questi studi permettono di formulare ipotesi importanti che devono essere ulteriormente indagate. Le casistiche lasciano intendere che circa i due terzi dei pazienti con DDI migliorano grazie al trattamento e che i pazienti che non svolgono un trattamento focalizzato sui DD potrebbero avere andamento cronico. Inoltre, l’ideazione suicidaria e i sintomi di ansia, depressione e mancanza di speranza potrebbero andare in remissione prima rispetto ai sintomi dissociativi (Ellason & Ross, 1996, 1997, 2004). Servono valutazioni rigorose di queste ipotesi con un follow-up più lungo.

 

Limiti metodologici degli studi sul trattamento dei disturbi dissociativi

Nonostante i risultati generalmente favorevoli degli studi di outcome, esistono limiti metodologici sostanziali. In primis, nessuno studio ha usato gruppi di controllo o confronto per cui non è possibile attribuire, con certezza, i miglioramenti al trattamento dei disturbi dissociativi. I cambiamenti relativi ai sintomi dissociativi sarebbero potuti intervenire anche senza trattamento semplicemente per la naturale progressione del disturbo o per altre ragioni.

Inoltre, molti di questi studi evidenziano un campione di entità ridotta, non usano misurazioni standardizzate, si concentrano sul lavoro di un singolo terapeuta e/o struttura di trattamento e il disegno di studio usato è spesso soggetto alla regressione verso la media. Ne consegue che la validità interna di questi studi ne esce seriamente compromessa.

Per alcuni studi non si evidenzia dimensione dell’effetto né sono fornite le informazioni necessarie a calcolarla, il che rende difficile una comparazione tra studi circa l’efficacia del trattamento. Le evidenze esistenti, per di più, fanno pensare che il trattamento dei disturbi dissociativi debba estendersi per ben oltre 2 anni per consentire l’integrazione; pertanto, le tempistiche di follow-up osservate in questa rassegna sono, in generale, troppo ridotte.

 

Perché esistono poche ricerche controllate per il trattamento dei disturbi dissociativi?

Forse non sorprende che scarseggino le ricerche di outcome controllate per i pazienti con DDI. La letteratura clinica ci dice che questi disturbi richiedono solitamente un trattamento di lungo termine (parliamo di anni, non settimane). Le controversie etiche circa la randomizzazione, i problemi di validità interna che sono intrinseci negli studi su interventi a lungo termine e le difficoltà logistiche di organizzare e implementare questi studi sono ostacoli considerevoli.

Dunque, uno studio clinico controllato randomizzato (RCT), gold standard della ricerca di outcome, non si presta a studiare agevolmente il trattamento di problemi complessi come il DDI o il DDNOS. Westen et al. (2004) discutono ampiamente i limiti degli RCT nell’individuare interventi idonei a trattare disturbi complessi e in comorbidità e ciò ha implicazioni dirette sugli studi di outcome relativi ai DD. Come sottolinea Westen, gli RCT non sono indicati se vi sono disturbi in comorbidità, in particolare se di Asse II o non trattabili con interventi brevi.

 

Indicazioni per future ricerche

Sono molte le indicazioni che ci sentiamo di formulare per le ricerche che si svolgeranno in futuro, iniziando dai casi di studio. Per quanto questo tipo di ricerca presenti molti svantaggi, come la difficoltà di generalizzazione, mostra anche vantaggi evidenti.

I casi di studio consentono di analizzare da vicino trattamenti personalizzati per casi complessi e non pongono limiti alla durata del trattamento. Pertanto, i casi di studio possono fornire una rappresentazione reale del mondo clinico. Inoltre, è possibile usare disegni di studio con caso singolo, come ha fatto Kellett (2005). Riconosciamo che non tutti i clinici potrebbero essere in grado di condurre uno studio rigoroso come quello di Kellett, ma esistono accorgimenti semplici ma importanti che possono essere presi per rendere più solidi i casi di studio.

Ad esempio: strumenti di valutazione sistematici come colloqui strutturati per documentare rigorosamente le diagnosi di Asse I e Asse II; misure standardizzate per valutare le altre aree di funzionamento.

 

Valutazione prima, durante e dopo il trattamento

Le misurazioni per valutare sintomi e funzionamento complessivo del paziente dovrebbero essere svolte all’inizio del trattamento e ripetute periodicamente, in modo da documentare i progressi. Il settore trarrebbe benefici dall’individuazione di una serie di strumenti di valutazione che i ricercatori clinici potrebbero usare, in modo da facilitare il raffronto tra casi e casistiche.

Si raccomandano inoltre tempistiche di follow-up più lunghe. Coons & Bowman (2001) indicano che un follow-up da 15 a 20 anni, con intervalli di 5 anni, sarebbe ottimale. Per quanto concordiamo sull’importanza di un follow-up più a lungo termine, riteniamo che raccogliere dati a intervalli annuali o biennali (cfr. Zanarini et al., 2003) sia più utile nel descrivere l’andamento della risoluzione dei sintomi nel tempo.

 

L’importanza di descrivere l’approccio al trattamento dei disturbi dissociativi

Infine, è cruciale che il clinico descriva con dovizia l’approccio di trattamento nella relazione di studio. Nella loro discussione sulle alternative all’RCT, Westen et al. (2004) affermano che le più importanti innovazioni cliniche sono frutto del lavoro dei clinici, non dei ricercatori, e che pertanto i ricercatori dovrebbero guardare ai clinici per individuare le strategie di trattamento da investigare.

Conseguentemente, gli studi naturalistici, ad esempio quello in corso su un campione internazionale con 292 terapeuti e 280 pazienti con DD (Brand et al., 2009), con approccio descrittivo e disegno non controllato, potrebbero fornire indicazioni importanti per elaborare strategie di trattamento efficaci.

 

Strategie di trattamento individuate dai clinici

Westen et al. descrivono un approccio decisamente elaborato che porta a uno studio sperimentale per testare strategie di trattamento individuate da clinici. Un disegno di questo tipo implica il coinvolgimento di un ampio campione di clinici che parteciperanno con i prossimi 3 pazienti con DD, facendo valutazioni regolari ed esaminando sistematicamente le sedute registrate.

Sulla base di questi dati, verrebbe poi svolta l’analisi correlazionale per individuare gli interventi associati a un outcome positivo. Successivamente ci sarebbe una fase sperimentale per testare un prototipo di trattamento efficace basato sulle evidenze empiriche. Un sottoinsieme del campione di clinici potrebbe ricevere formazione e supervisione per applicare il prototipo, procedendo poi a un confronto con le condizioni di controllo senza supervisione.

Un disegno di questo tipo, per quanto non preveda la randomizzazione controllata né i gruppi di trattamento, consentirebbe comunque di trarre conclusioni più solide circa l’efficacia di particolari approcci di trattamento.

 

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Conclusione

Visti prevalenza, cronicità e costi sanitari del trattamento dei disturbi dissociativi (Ross & Dua, 1993; van der Kolk, 2008), servono ricerche rigorose in modo da trarre conclusioni certe sull’efficacia dei trattamenti focalizzati sui DD. Per quanto non sorprenda la mancanza di RCT sui DD nel settore, questa rassegna evidenzia problematiche metodologiche gravi nelle ricerche esistenti e mostra che dobbiamo aumentare gli sforzi per raccogliere evidenze su trattamenti efficaci dei DD.

Tenendo conto dei limiti e delle difficoltà di svolgimento degli RCT con pazienti con DD o altri disturbi complessi in comorbidità dobbiamo prendere in considerazione approcci alternativi per trovare evidenze empiriche circa l’efficacia del trattamento dei disturbi dissociativi.

Articolo liberamente tradotto e adattato. Fonte: Bethany L. Brand, Catherine C. Classen, Scot W. McNary, and Parin Zaveri “A Review of Dissociative Disorders Treatment Studies”. Article in The Journal of nervous and mental disease – September 2009 DOI: 10.1097/NMD.0b013e3181b3afaa

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