Le Foto dell’Album di Famiglia come Ponte verso Sé

Psicologa, psicoterapeuta ad orientamento junghiano, esperta in psicodiagnosi. Diplomata presso l’AISPT (Associazione Italiana Sand Play Therapy) di Roma, lavora a Roma privatamente presso il Centro...
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Vogliamo parlarvi di un particolare tipo di foto: le fotografie dell’album di famiglia.

Si definiscono tali tutte le raccolte di immagini emotivamente importanti. A prescindere che siano realmente o meno su un album, ricordi visivi delle diverse tappe della nostra vita. Si tratta di fotografie che ci danno una narrazione e una rappresentazione di diversi momenti della nostra storia.

Linda Berman nel libro “La fototerapia in psicologia clinica”, sottolinea quanto l’album di famiglia sia per ognuno di noi un documento importante, cronaca particolarissima della vita e della storia di una famiglia. Le foto dell’album permettono di osservare come i membri della famiglia sono rappresentati, come si relazionano tra di loro, quali sono le loro regole. Queste fotografie rappresentano un punto di partenza dal quale i pazienti possono cominciare a ricostruire la loro vita, trasformarsi, sviluppare una nuova visione di sé nel mondo.

Quando il paziente porta, spontaneamente o per una richiesta del clinico, le foto dell’album di famiglia in terapia è importante esplorarle cercando di cogliere l’atmosfera e i sentimenti all’interno della famiglia, di osservare come le persone si sono disposte e prestando attenzione a tutto ciò che appare nelle foto. Contemporaneamente bisogna analizzare le reazioni verbali e non verbali del paziente a queste fotografie. Come ne parla, i suoi stati d’animo, l’espressione, le azioni, i gesti e così via.

 

Album di famiglia e Fototerapia: il caso clinico

Nel caso che vi presentiamo oggi, le fotografie dell’album di famiglia arrivano spontaneamente in seduta, dopo alcuni mesi della terapia.

Marco è un paziente di circa quarant’anni che arriva in terapia dopo la fine di una relazione importante, durata più di dieci anni, con una domanda sulla sua modalità di entrare in relazione e una grande difficoltà nel separarsi. Tanto da chiudere le relazioni anche dopo anni che non ci stava più bene. Quando arriva in terapia Marco è molto preoccupato di ripetere le sue modalità relazionali nelle successive relazioni di coppia. E lamenta una grande difficoltà nel comprendere le sue emozioni e i suoi desideri e una tendenza ad entusiasmarsi molto all’inizio per poi perdere facilmente interesse.

Mi racconta che questa modalità non è relativa solo alle relazioni. Ma anche alla sua vita in generale, spesso è insoddisfatto. Ma preferisce trascinare le situazioni per non deludere gli altri e per paura del loro giudizio. Per il paziente non è facile riconoscere le proprie emozioni e parlarne, ha delle difese molto rigide di tipo razionale ed inibitorie che ostacolano il contatto con il mondo interno sentito come sconosciuto e minaccioso.

Dal suo racconto emerge come nella sua famiglia non ci sia mai stato un linguaggio per le emozioni e una tendenza a non condividere i propri stati d’animo. Ma anzi a nasconderli e vivere come debolezza l’espressione degli stessi. Riferisce che i rapporti sono per lo più distanziati anche fisicamente e di tipo pratico-concreto. Ha una sorella più piccola di lui, di cui non parla quasi mai.

Dopo alcune sedute, nelle quali il tema centrale erano le relazioni di Marco con la sua famiglia, arriva in seduta con una busta piena di foto sfuse e di diversi album. Mi dice che è stato dai suoi genitori, aveva visto le foto e aveva pensato di portale in terapia e mentre mi dice questa cosa svuota la busta sulla scrivania. Ci sono tantissime foto, mi sento inondata da questo materiale e sento che è importante fare una scelta. Chiedo a Marco se ci sono delle foto da cui è stato particolarmente colpito e che mi vuole raccontare.

Prende tre immagini della sua infanzia:

  1. una foto di lui con la madre dove aveva due anni,
  2. una foto dei suoi genitori quando lui e la sorella erano piccoli
  3. e una foto in cui ci sono lui e la sorella.

Guardando le foto viene subito colpito dalla vicinanza fisica tra lui e sua madre e tra i suoi genitori. Si vede come un bambino felice in quella foto. E si meraviglia soprattutto della vicinanza tra i suoi genitori, che ha sempre percepito come distanti e anaffettivi tra loro. Guardando la foto con la sorella è felice di averne trovata una con lei, visto che non la nomina quasi mai e inizia a ricordare dei momenti belli tra loro e di come si sia distanziato da lei dopo che si è sposata.

Per la prima volta, attraverso le foto, Marco si commuove nel ripensare alla sua infanzia e alle relazioni con i membri della sua famiglia. Le rigide difese si allentano e la razionalità lascia spazio alle emozioni.

Partendo da queste foto Marco inizia a rinarrare la sua storia, cercando di mettere insieme i diversi fili. Inizia a farsi raccontare dai genitori, soprattutto dalla madre, la loro relazione, riallaccia emotivamente i rapporti con la sorella riconoscendo ed elaborando la sua rabbia rispetto alla separazione. In questo caso le foto dell’album di famiglia sono state il ponte per poter contattare il mondo interno e allentare le difese rigide.

Cosa ne pensate di questo utilizzo della fotografia?

Come utilizzereste le foto dell’album di famiglia con i vostri pazienti?

Vi piacerebbe acquisire competenze e pratiche utili ad integrare la fototerapia nella vostra pratica clinica?

Prima di passare alla discussione del caso, vi segnaliamo il corso ondemand della Dr.ssa Floriana Di Giorgio e della Dr.ssa Francesca Belgiojoso

 

La Phototherapy nella Pratica Clinica: Autoritratto, Sogno e Narrazione di sé

PhotoTherapy

 

DISCUSSIONE DEL CASO CLINICO

Alessio:

Innanzitutto, grazie per la condivisione. Come sempre mi colpisce molto l’utilizzo delle foto in terapia. In questo caso mi colpisce come esse siano catalizzatrici emotive, come facciano venire a contatto con il proprio io autentico, scevri da difese.

Io posso riportare la mia esperienza in Mediazione Familiare. Spesso si fa uso delle fotografie dei figli. Si chiede ai genitori di mostrare le loro, fondamentalmente per far prendere contatto con essi e per presentificarli nel percorso. Infatti il conflitto tende ad oscurare i bisogni dei figli e con le foto si cerca di far venire a contatto i genitori di nuovo con essi.

Floriana Di Giorgio:

Buonasera Alessio, grazie mille per aver condiviso anche tu la tua esperienza in mediazione familiare, è davvero interessante come la fotografia permette di rimettere a fuoco gli affetti, che il conflitto spesso fagocita.

Anche nel caso presentato, come hai sottolineato, la foto ha permesso di ricontattare le emozioni e anche di vedere la propria storia in un’altra prospettiva.

Giulia:

Buonasera, grazie per la condivisione. Io non ho alcuna esperienza con le fotografie in terapia, ma se ne avessi l’occasione mi piacerebbe tanto poterle usare.

La fotografia, come abbiamo visto anche in questo caso, è un ottimo strumento per connettersi con se stessi e con il passato. In questo caso Marco è riuscito ad aprirsi di più e a parlare anche della sorella che mai aveva nominato. Guardando una fotografia credo che sia impossibile non pensare a quando sia stata scattata, credo che sia quello che è successo a Marco.

Marco ha scelto delle foto con sua sorella e queste gli avranno fatto ricordare quando sono scattate, poi un ricordo chiama l’altro e ha iniziato a “ricordarsi” e a parlare di sua sorella. Resto sempre affascinata da come uno strumento così semplice (la foto appunto) possa però aprire un mondo dentro il paziente.

Floriana Di Giorgio:

Salve Giulia, grazie per tutte le sue riflessioni e per il fascino verso l’utilizzo della fotografia in terapia.

La fotografia per sua natura ha la capacità di evocare ricordi, sensazioni ed emozioni anche legate ad un passato molto lontano. Le foto di famiglia, poi hanno un rilievo emotivo particolare ed è importante utilizzarle solo quando c’è con il paziente una buona alleanza terapeutica e si sente che sia il momento giusto per esplorarle insieme. in questo caso è stato lo stesso Marco a portale, segno che era psichicamente pronto ad andare più a fondo nella sua storia.

Al di là delle foto di famiglia, le immagini, in generale, hanno questa capacità di creare associazioni e collegamenti con il passato e con parti di noi rimosse e nascoste proprio perché la memoria per immagini è la forma più arcaica di memorizzazione.

Maria:

Molto interessante questo spunto di riflessione sull’utilizzo delle foto, penso sia stato molto importante per il paziente che sia stata proprio una sua iniziativa quella di portare nella stanza terapeutica “parti” della sua vita in modo da poterle rinarrare insieme ad un altro. Mi sembra che già questo dia un’idea di un tentativo compiuto per avvicinarsi ad un altro e a sè stesso, passando attraverso qualcosa di tangibile, che è più immediato.

Mi chiedevo, in un contesto di terapia di gruppo, come e se potessero essere utilizzate le foto di famiglia. Certamente si avrebbe a disposizione la pluralità di punti di vista dei membri a per aprire a nuovi modi di guardare il già noto.

Floriana Di Giorgio:

Buongiorno Maria Comasia, grazie per le interessanti riflessioni sul caso e per gli spunti. Si certamente il portare spontaneamente le foto dà al terapeuta già la consapevolezza che il paziente è disposto ad andare più a fondo e a confrontarsi con la sua storia e le diverse parti di sè.

Per il gruppo bisognerebbe bene vedere in che modo vengono utilizzate e con quale scopo, se si lavora tutti insieme nel gruppo o si prevede un momento da soli e poi in condivisione, aveva pensato a qualcosa di specifico?

Emanuela:

Mi associo a quanto detto dai colleghi che mi hanno preceduto. L’utilizzo delle foto in terapia è affascinante. Uno strumento semplice e complesso al tempo stesso.
A me è capitato più volte che pazienti mi portassero foto o condividessero anche attraverso WhathsApp alcuni momenti della loro vita (la nascita di un figlio, un matrimonio) penso che sia importante rimandare il paziente anche sul riflettere, perchè sia importante la condivisione e capire cosa veramente voglia condividere.

Li ringrazio comunque sempre molto per la condivisione sottolineando l’importanza del gesto come fiducia verso di me, perchè è chiaramente un ottimo canale di comunicazione.

Mi è capitato recentemente una signora molto insicura con storia di disturbi dell’alimentazione gravi che mi portasse delle foto fatte fare in studio dal fotografo con i suoi due figli adolescenti (un maschio ed una femmina) ufficialmente le foto erano un regalo dei figli per la festa del papà.

Il marito della signora e padre dei ragazzi spesso (così riferisce la paziente) la mortifica come donna e come madre. Le ho fatto analizzare il perchè della scelta di quel regalo e inizialmente le risposte erano state molto superficiali. Del genere: mi sembrava una cosa carina, non lo avevamo mai fatto ecc. Invece poi in seduta è venuto fuori che quella foto aveva il significato di farsi valere verso il marito come madre lasciando “documento” che confermasse il suo legame con i figli.
Anche verso di me, in modo meno indiretto, ha chiesto conferma sul suo essere una brava mamma ed abbiamo incentrato l’incontro sulla sua necessità di rassicurazioni.

Quindi il valore delle foto ritengo sia davvero molto utile e rispetto ad un test classico, che è visto sempre come una valutazione e mette sulla difensiva, una foto è qualcosa di più facile da affrontare.

Dopo il precedente laboratorio con le ragazzine adolescenti faccio scegliere tra le foto che hanno sul cellullare due foto che le ritraggono chiedendo di scegliere quella in cui si piacciono di più e quella in cui meno. Vi assicuro che ne vengono fuori spunti davvero interessanti. E parlano tranquillamente perchè non si sentono giudicate. E questo mi aiuta ad avere informazioni che possono poi essere utili per comprendere e risolvere le loro problematiche.
Questa la mia positiva esperienza. Grazie per tutte le riflessioni proposte e tutti i contributi raccolti e mi scuso se mi sono troppo dilungata.

Floriana Di Giorgio:

Buonasera Emanuela, grazie mille per questa sua preziosa testimonianza ed esperienza con la fotografia in terapia. Le fotografie portate dai pazienti siano esse cartacee o sullo smartphone ci permettono davvero di entrare in punta di piedi nel loro mondo. E io le considero sempre dei doni davvero preziosi e, come diceva lei, un segno di grande fiducia rispetto allo spazio terapeutico.

Grazie per aver condiviso anche le sue esperienze così diverse, ma così importanti. E che descrivono come la foto possa essere utilizzata in modo tanto diverso in contesti diversi. Ma sempre ci permette di entrare in risonanza emotiva con l’altro e di scoprire altre parti.
Mi volevo soffermare su quello che dice rispetto al non giudizio. Perché credo che sia uno degli elementi di maggior forza di questo strumento. In quanto proprio perché si parla di una fotografia e non direttamente di se stessi, ci si sente meno giudicati e più aperti a parlare.

 

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