Le difficoltà del partecipante “B” in un caso di Libroterapia di gruppo

Rachele Bindi
Sono esperta in Libroterapia: gestisco percorsi di Libroterapia individuale e di gruppo di impostazione analitica junghiana per la ricerca del benessere psicologico, anche in collaborazione con enti, ...

La libroterapia è una metodologia che si presta molto bene al lavoro di gruppo.

 

I meccanismi di identificazione, proiezione e catarsi che si producono naturalmente durante la lettura di una storia (e che sono una delle basi della libroterapia) si amplificano nei contesti corali. Lo scambio guidato tra i partecipanti arricchisce la riflessione e moltiplica le occasioni di insight.

Ogni individuo ha il suo rapporto con l’atto di leggere, legato ai suoi vissuti personali. Quindi il gruppo si presenta da questo punto di vista sempre eterogeneo. Chi conduce il gruppo cerca di passare il metodo di lettura libroterapico a tutti i partecipanti. Che iniziano a metterlo in pratica ognuno con i propri mezzi e tempi.

La discussione di gruppo sulle letture fatte risenti di queste peculiarità individuali e tra le competenze di conduzione del gruppo ci deve essere la capacità di gestire le difficoltà derivanti dall’applicazione del metodo e dalle differenze individuali di approfondimento del lavoro di lettura libroterapica.

Nel gruppo di cui discutiamo, composto da 8 persone (differenti per caratteristiche di popolazione, con età tra i 40 e i 65 anni), un partecipante presenta una difficoltà su cui ti chiedo un confronto. Lo chiameremo B.

Durante il primo incontro si è mostrato affabile, collaborativo e capace di stare in gruppo. Attento alla spiegazione del metodo di lettura, bravo nel presentarsi brevemente agli altri ed empatico durante l’ascolto delle altrui presentazioni.

Al primo incontro di discussione sulla prima lettura, B dichiara di non averla portata a termine. E lascia intendere di aver avuto poco tempo a disposizione. Si presenta ugualmente all’incontro di gruppo, ma partecipa molto poco e pare infastidito dal fatto che nella discussione gli altri disvelino aspetti della trama che lui non conosce (pur avendo spiegato nel primo incontro che il rischio spoiler c’è). Il resto del gruppo si dispiace. Alcuni si fanno scrupoli a raccontare le proprie riflessioni per non rovinare la lettura di B. Altri usano giri di parole per scusarsi di raccontare cose che lui ancora non ha letto o per cercare di capire dove egli esattamente si sia fermato e limitano i loro interventi.

Al secondo incontro con la seconda lettura, B nuovamente non ha finito il libro. Dichiara di aver preferito la lettura di un testo scelto da lui sullo stesso tema. Partecipa inizialmente alla discussione. Ma ritorna sempre sulla critica al testo e sul suo interesse per quello che ha invece letto per sua scelta.

Il gruppo inizia a mostrare un certo fastidio, soprattutto quando lui tira in ballo il libro che gli altri non hanno letto.

Cosa ti fa venire in mente il comportamento di B.? Come procederesti?

 

L’uso della Libroterapia in contesti individuali e gruppali

L’uso della libroterapia in contesti individuali e gruppali

DISCUSSIONE

Tiziano:

Suppongo che in B ci siano forti resistenze al tema proposto con la lettura che cerca di evitare attivando forti meccanismi di difesa. Forse la critica serve a sviare l’argomento che lo tocca attraverso la negazione dell’emozione come la rabbia? Mi è successo anni fa con una paziente dai forti tratti istrionici che andava spesso contro corrente rispetto al sentire del gruppo e razionalizzava la sua rabbia entrando in aperto contrasto con me più che con il gruppo che comunque percepiva la sua presenza spesso come ingombrante e i suoi interventi fuori luogo.

Dopo il primo conflitto tra me e lei, in setting dal vivo, mi resi conto che la mia reazione alle sue asserzioni fu un pò impulsiva ma dopo la sua chiusura decisi di chiedere dei feedback al gruppo rispetto alla percezione del tema emerso, che era il rapporto tra genitori e figli, ma nessuno si espose e lei rimase in silenzio. Decisi di aprire un gruppo watsapp per le comunicazioni rispetto il gruppo dove lei condivideva spesso contenuti “positivi” per evitare di parlare delle tematiche proposte ma a cui nessuno rispondeva. Sembrava non comprendere che il gruppo non era di lettura ma di libroterapia nonostante fossi stato chiaro sulla modalità e le regole.

Proseguì così per tutta la prima parte del percorso e solo quando il gruppo si ritrovò dal vivo, mi confessò, di non voler essere sicura di proseguire con il secondo livello richiesto dal gruppo. Le chiesi perché e mi spiego che era rimasta delusa dalla mia reazione emotiva e per aver lasciato il gruppo watsapp sentendosi rifiutata. In quel momento avevo perso mio zio per il covid e nonostante avessi chiesto di pubblicare solo contenuti sulla lettura si ostinava a cercare la nostra attenzione condividendo temi complottistici.

Restai aperto facendole da specchi rispetto la sua rabbia e la sua paura di non essere accolta da me e dal gruppo e alla fine confesso di soffrire ancora per l’educazione rigida ricevuta dalla madre e un matrimonio finito che non aveva ancora elaborato. Provai a spiegarle perché mi ero comportato in quel modo e quali fossero le regole prestabilite coinvolgendo tutto il gruppo come contenitore affettivo e lei cambiò idea e proseguì anche il secondo percorso fino alla fine.

Rachele Bindi:

Grazie mille di questa condivisione Tiziano, che ci aiuta a far luce su alcuni punti che tutti coloro che gestiscono percorsi di gruppo in libroterapia si trovano a dover affrontare. Provo a sintetizzarli qui, ma consideriamola una lista aperta da integrare: innanzitutto mi fai pensare a quanto sia importante riflettere non solo sui vissuti dei partecipanti ma anche sui nostri (vale per tutti i gruppi, ma nella libroterapia c’è il terzo della lettura in gioco e fa da amplificatore). Il nostro momento di vita, le esperienze che stiamo vivendo, devono sempre essere oggetto di riflessione (giustamente nella tua minor capacità di accogliere alcune delle esternazioni della persona li colleghi al tuo lutto).

Cercare di capire se il comportamento di un membro è parte della sua struttura di personalità o se sta reagendo a qualche stimolo che noi non abbiamo bene focalizzato è esattamente il punto da cui volevo partire. Nel tuo caso parli di paziente istrionico, quindi con una specifica struttura di personalità (che tu avrai avuto modo di comprendere con i tuoi strumenti diagnostici), io vorrei far concentrare le colleghe ed i colleghi proprio su: come faccio a capire cosa sta succedendo e se il comportamento di B riflette una sua caratteristica oppure se c’è qualcosa che io come conduttrice posso andare a modificare per migliorare l’esperienza sua e del gruppo?
Quali azioni proponete per fare chiarezza?

Chiara:

Si potrebbe provare a cambiare lo stimolo per vedere se c’è un rifiuto costante di qualsiasi proposta? In tal caso si potrebbe pensare che B stia mettendo in atto una difesa nei confronti di qualsiasi contenuto e apertura verso l’altro.

Rachele Bindi:

Interessante Chiara, intendi cambiare tipo di materiale narrativo? Usiamo questa proposta per una ulteriore riflessione. Siamo in un contesto di libroterapia di gruppo, è possibile scegliere un materiale più adatto a B. senza perdere di vista l’obiettivo di gruppo?

Ognuno di noi ha una sua visione del gruppo che può essere in linea con questa opportunità o cozzarci molto… Io per esempio tendo a considerare il gruppo come un macro-organismo. E quindi i portati individuali diventano per me istanze gruppali (una sorta di manifestazione sintomatica del gruppo nella sua interezza). Ma prima dovrei comunque capire se si tratta di questo o di un tratto di personalità di B.

Chiara:

Forse meno realizzabile cambiare totalmente il materiale narrativo però forse si potrebbe usare quello stesso materiale per far emergere altre tematiche o cogliere riflessioni dei partecipanti del gruppo per portare anche altri contenuti nel gruppo e vedere se B porta un suo contributo su quelle tematiche. Non so se sia corretto, sto provando a immaginare.

Rachele Bindi:

Solitamente nei gruppi di libroterapia si lascia ai partecipanti la possibilità di spaziare, riflettendo sul materiale narrativo proposto, andando verso gli argomenti che interessano loro o che li colpiscono maggiormente, in coerenza con l’obiettivo del gruppo. Se stiamo parlando, faccio un esempio, di ombra e vissuti collegati, il partecipante potrebbe anche portare come riflessione qualcosa di diverso, ma se si discostasse troppo dal lavoro che tutti stanno facendo sarebbe il gruppo stesso a non ingaggiare il dialogo. Certamente ci sono atti “di gestione” del gruppo che sono sperimentabili, come il cercare di incoraggiare B. a dire la sua.

Ma oltre a questo, che nel caso specifico non portava ad altro che a sentir parlare B di sue letture personali, cosa potremmo fare?
(Buttatevi che le soluzioni possono essere non univoche e le riflessioni sono tutte utili al nostro dialogo)

Alessio:

Sempre cambiare proposta narrativa ma solo dopo aver condiviso i bisogni e i desideri di tutti i partecipanti, in modo tale che si possa giungere ad una visione condivisa? Poi da lì capire se effettivamente B. presenti ancora problemi, almeno per superare questa fase di stallo di cui accenna il testo.

Rachele Bindi:

Grazie Alessio, un momento diciamo di milestone in cui fare il punto tutti insieme sarebbe anche pensabile, posto che comunque il gruppo concorda inizialmente gli obiettivi e ci sono stati solo due incontri….

Marina:

Premetto che non conosco bene la metodologia della libroterapia. Ma sono molto incuriosita e affascinata dalla terapia di gruppo, quindi proverò a interpretare il comportamento di B.
Forse B. si sente ignorato all’interno del gruppo; nessuno lo ha aspettato per far si che si mettesse al passo nella lettura del libro; invece di darsi da fare nel riprendere la lettura preferisce che gli altri facciano un passo verso di lui, cosa che non accade, anzi sono infastiditi. B. vuole “imporre che si parli del suo libro” ma viene rifiutato, forse vuole che “si parli di lui” ma questo viene trascurato. B. sta cercando il suo posto nel gruppo? .
Non so se sono uscita un po’ fuori tema, grazie per gli spunti di riflessione

Rachele Bindi:

Salve Marina, grazie per la condivisione! In realtà il presupposto base per la libroterapia è la lettura di un libro per ogni incontro. Quindi non sta veramente ai partecipanti decidere il passo. Gli altri sono infastiditi dal fatto che lui tira fuori libri diversi da quelli di cui il gruppo condivide la lettura, che lui pare snobbare. Però vorrei usare il tuo intervento “di pancia” sul lavoro di gruppo per sottolineare come hai cercato subito di entrare in empatia con la posizione di B, domandandoti se non si senta poco visto o non percepisca di avere un suo posto nel gruppo.

Quando si lavora in gruppo secondo me è sempre fondamentale tenere una dinamica di empatia oscillante tra individuo e gruppo. Lui disturba il lavoro di gruppo e quindi dobbiamo pensare a delle azioni. Ma ci sta anche dando un messaggio importante, che non dobbiamo sottovalutare, e ci permette di vedere i comportamenti degli altri verso lui.

Quindi grazie per l’intervento. Ci aiuta a sottolineare che B. si sta tenendo fuori dal gruppo (anche se in una posizione che sembra di narcisismo overt). E che il gruppo inizia ad essere infastidito senza mettere in campo tentativi di inclusione.
Ed io rinnovo la domanda, state dando spunti davvero interessanti, in quale altro modo possiamo muoverci?

Giulia:

Siccome al secondo incontro B dice di non aver portato a termine la lettura del libro scelto perchè preferiva una lettura diversa (che fosse più di suo gradimento) potremmo pensare a dare noi una lista di libri tra cui scegliere (che trattino magari dello stesso tema)? Di modo che B possa scegliere un libro più di suo gradimento e così portare a termine la lettura e partecipare al gruppo?

Ovviamente questo tipo di approccio deve essere uguale per tutti. Ossia a turno ognuno deve poter scegliere un libro nella lista fornita. Ma mi rendo conto che se pure potrebbe funzionare la prima volta (quindi è B a scegliere), le volte successive B potrebbe non condividere la scelta fatta dai compagni e quindi riproporre il suo comportamento.

Rachele Bindi:

Grazie Giulia! La soluzione è creativa ma nei gruppi di Libroterapia la conduzione non si cede mai e la scelta del testo è una responsabilità della conduzione. In questo i gruppi libroterapici differiscono dai semplici gruppi di lettura dove invece si usa dare ai partecipanti una variabile possibilità di scelta.

B. ci sta passando un messaggio, ma quando ha scelto di partecipare al gruppo sapeva che si stava affidando ad una professionista che avrebbe scelto le letture per lui e per tutti gli altri. Diciamo che la sua in questo momento possiamo leggerla più come una sfida alla conduzione piuttosto che come difficoltà nei confronti della lettura…

Maria:

Molto interessante questo tipo di stimolo! L’approccio di gruppo è per me di grande interesse, nonché parte integrante della mia formazione psicoterapeutica ancora in corso.
Mi verrebbe da pensare che B. si stia facendo carico di rappresentare una parte “disturbante” all’interno del gruppo. Un elemento di “perturbazione” che gli altri gli stanno però lasciando agire. Come a voler relegare e spostare in una sola persona gli aspetti fastidiosi e scomodi di quella relazione gruppale, che certamente spaventa tutti proprio per i suoi aspetti implicanti rispetto alle istanze personali messe in gioco.

Mi viene in mente che la situazione descritta possa richiamare quella del ” paziente designato” all’interno di famiglie disfunzionali (anche se, quale non lo è).
Famiglie all’interno delle quali è il singolo a farsi carico della sintomatologia che però appartiene a tutta famiglia, e che finché è associata solo al singolo rischia, e allo stesso tempo qualcun altro spera, rimanga cristallizzata e circoscritta in esso.
Così mi sembra che il gruppo del laboratorio di Libroterapia stia agendo. Agganciandosi chiaramente a dei tratti di personalità di B. che ben si adattano a farlo sentire “escluso” ma allo stesso tempo “protagonista” di una nuova storia che si sta creando.

Rachele Bindi:

Maria questo tuo intervento è davvero interessante: vedendo il gruppo come un macro-organismo anche io ho inizialmente pensato che B. stesse dando voce ad un sintomo di gruppo. Come se in fondo qualcosa stesse forse scomodo a tutti ma solo lui si facesse carico di dirlo apertamente. E questo può effettivamente succedere, come possiamo secondo te fare per capire se sia questo il caso oppure no? Quale tipo di azione metteresti in campo? (Nelle famiglie disfunzionali il paziente designato risente di dinamiche più strutturate, qui il contesto è un gruppo che si è visto veramente poco per adesso, ma rende l’idea).

Emanuela:

Buongiorno a tutti, non ho esperienza di libro terapia, ma seguo sul web la dottoressa Bindi e ho partecipato a dei suoi workshop. Nella mia pratica clinica mi accade spesso di incontrare pazienti con questo atteggiamento. Inizialmente sembrano empatici e collaborativi, ma poi non portano i “compiti” con scuse di tempo molto vaghe. Al di là del singolo caso una cosa che accomuna questi soggetti è che non sottostanno alle regole. Trovano ogni scusa per evitarle. Si sentono in trappola ed evitano anche la seduta se possono. L’ osservanza di limiti e confini crea loro disagio nel lavoro, nella famiglia e spesso sono polemici e non d’accordo su regole condivise. Il lavoro terapeutico subisce continui blocchi, perchè ogni cosa viene vissuta come una forzatura e risulta non essere collaborativo.

Con uno in particolare ho utilizzato varie tecniche, ma essendo diventati anche per me incontri frustranti, ho detto chiaramente che non bastava venire alle sedute, ma partecipare in modo attivo anche al di fuori. Lui ha chiesto di non abbandonarlo altrimenti sarebbe finito nel baratro. Ho visto in questo atteggiamento un modo di mettermi alla prova quasi a testare quanto potessi sopportare prima di “abbandonarlo” Il tema dell’abbandono è poi uscito più volte e io sono rimasta accanto a lui anche se non è proseguito verso l’obiettivo richiesto. Probabilmente il suo bisogno è già appagato con la vicinanza. Chiaramente questo è un sunto molto drastico, ma spero sia comprensibile. Se qualcuno ha altre “letture” su questo caso o altri simili da propormi e confrontare ne sarei lieta.

Rachele:

Ciao Emanuela, mi sembra molto interessante.
Un paziente che non stando alle regole dimostra in qualche modo la sua difficoltà a stare nei confini ma che in fondo porta la richiesta di essere contenuto.

Il paziente di cui parli (quello “in particolare”) era un individuale se non ho capito male, vero? Quindi ti sei potuta permettere di chiarire direttamente con lui alcuni punti (e direi che hai fatto benissimo), secondo te qui come potremmo fare?

Emanuela:

grazie Rachele! ho già avuto difficoltà a trovare il modo di parlare con il paziente in seduta individuale, con il gruppo ci sono ancora più dinamiche da considerare. ma credo che bisogna tornare sulle regole e “fare un patto” naturalmente parlando al gruppo e non al singolo. Sottolineare la partecipazione in linea con il gruppo, poichè è un gruppo.

Rachele Bindi:

Concordo pienamente. Le difficoltà ci sono e vanno messe in conto, ma davanti ad un comportamento come quello di B. anche per me è stato necessario cercare un confronto individuale per capire cosa stava succedendo. Riportare all’obiettivo condiviso e comprendere se questo è il suo modo di stare in gruppo o se c’è qualcosa che lo mette a disagio…

Rachele Bindi:

Provo a fare un po’ di sintesi delle considerazioni fatte fino qui (e che ricchezza di punti di vista, grazie!). Abbiamo ipotizzato:

  • una resistenza al tema proposto (con probabile evitamento e narcisimo overt di fondo);
  • un materiale poco adatto al partecipante (o forse in prospettiva di gruppo come macro individuo a tutti i partecipanti);
  • un maggior bisogno di chiarezza sugli obiettivi del lavoro di gruppo;
  • un bisogno di B. di sentirsi visto nel gruppo;
  • una difficoltà di B. a stare nei limiti e nelle regole.

Sgombero un poco il campo per continuare le nostre riflessioni. Togliendo l’opzione riguardante il materiale (non per un narcisismo della terapeuta ma per ciò che è seguito) come possiamo valutare se B. abbia una questione con il tema, con il gruppo, con la posizione di partecipante, con le regole o con la conduzione?

Che fareste per capire meglio cosa sta cercando di dirci?

Emilia:

Ciao a tutti e grazie degli spunti di riflessione. Non conosco bene il metodo della libroterapia, quindi non so cosa è previsto o meno. Nel colloquio iniziale di accesso al gruppo, il paziente B potrebbe averci detto qualcosa che adesso a posteriori chiarifichi le sue difficolta?

Oppure potremmo vedere nei temi dei libri che ha scelto di leggere, in contrapposizione a quelli proposti al gruppo, delle indicazioni su cosa sta cercando di dirci? Oppure, considerando il gruppo come un organismo di cui B esprime qualcosa di comune, potremmo proporre al gruppo un libro il cui tema amplifichi queste questioni e vedere come l’intero gruppo reagisce?

 

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0 thoughts on “Le difficoltà del partecipante “B” in un caso di Libroterapia di gruppo

  • annamariaguzzio says:

    Cara Rachele, grazie di avermi coinvolto in questa interessantissima discussione. Io conduco laboratori di quella che definisco Lettura Attiva Consapevole perché non sono terapeuta ma mi è capitato proprio di recente un caso simile di una persona che è sempre stata molto attiva nelle letture assegnate anche se meno nel partecipare alle discussioni. Da due mesi a questa parte ha proprio avuto un atteggiamento di resistenza dichiarando che i libri proposti non le sono piaciuti, eppure sa bene che da una storia che non piace spesso si hanno delle risonanze importanti chiedendosi proprio perché quella storia non ci va a genio. Io le ho proposto di prendersi una pausa pur restando nella chat di gruppo (anche perché il percorso è trimestrale e va pagato in anticipo). Lei mi ha detto che però leggere per lei è importante ed io le ho proposto di leggere in modo orizzontale, tradizionale, senza forzare l’uso del diario emotivo ma ricorrendovi solo al bisogno. Ho contemporaneamente sollecitato un colloquio telefonico personale in cui lei mi ha detto che sta vivendo dei problemi familiari di litigi con i fratelli e questo le causa rabbia. L’ho semplicemente ascoltata ma ho sentito che qualcosa si era sciolto. Nella chat di gruppo aveva proposto una lettura alternativa ma il gruppo , pur ringraziandola della segnalazione, è rimasto saldo sul percorso. Le ho mandato proprio ieri un altro messaggio chiedendole come stava e mi ha risposto che sta meglio e ha ordinato il libro che sta leggendo il gruppo con l’intenzione di recuperare più in là. Che dirti? Mi è sembrato giusto starle comunque accanto ma nello stesso tempo garantire il gruppo seguendo il percorso stabilito.

  • Marisa Multari says:

    Io confronterei B direttamente durante l’incontro di gruppo. Quando anche al secondo incontro non ha letto il libro e ne porta invece un altro, sembra tentare di stabilire lui le regole. Sembra una sorta di svalutazione della scelta fatta dalla libroterapeuta e insieme una sfida al gruppo: il libro più adatto lo so scegliere io! Gli chiederei di esprimere quello che sente e i pensieri che fa, proprio lì, durante l’incontro, mentre dice di non aver finito il libro e mentre propone la sua alternativa (quando è noto che o testi vengono scelti dalla libroterapeira). Chiederei agli altri membri del gruppo com’è per loro. Insomma, i investirei consapevolmentr dei tempo per fermarmi su questa dinamica individuale e di gruppo per farla emergere come strumento di consapevolezza per tutto

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