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Libroterapia sì, ma che nessuno tocchi la Grande Madre!

Rachele Bindi
Sono esperta in Libroterapia: gestisco percorsi di Libroterapia individuale e di gruppo di impostazione analitica junghiana per la ricerca del benessere psicologico, anche in collaborazione con enti, ...
madre

Il gruppo di libroterapia serve per l’amplificazione dei significati e per permettere ad ogni partecipante di confrontarsi con ciò che gli altri hanno trovato leggendo la stessa storia.

Un gruppo funzionale vede i propri partecipanti arricchire la discussione apportando una molteplicità di riflessioni. Anche quando possono magari concordare sulle questioni principali che la storia contiene, ognuno aggiunge qualcosa attingendo a ricordi e riflessioni personali. Nei miei gruppi amo quando vengono condivisi anche i sogni collegati alla lettura, ma è ben più raro.

Cosa succede se il gruppo si blocca e nessuno riesce a fare questa operazione di aggiunta? Come si dovrebbe secondo te comportare chi guida il gruppo?

Questo lo scenario. Il gruppo è stato costituito da ormai cinque mesi, siamo alla quarta lettura, che nello specifico è “Il libro di mia madre” di Albert Cohen. Per chi non lo avesse letto, questa è la presentazione breve sul sito dell’editore:

«Se uno di voi sarà più dolce con sua madre, una sera, per causa mia e di mia madre, non avrò scritto invano»

È un canto d’amore quello che l’autore dedica alla propria madre ormai scomparsa. Nel tentativo di sottrarla all’oblio, di fissarla in immagini struggenti e dolci, che ne restituiscano la semplicità, l’ingenuità e le piccole quotidiane debolezze. Ma neppure pagine così vere nella loro forza consolatoria possono ridare la vita.

Quello che rimane è un vuoto. L’implacabile rimorso di un figlio, di tutti i figli, che sanno riconoscere l’inestinguibile bontà e affetto di una madre solo dopo la sua morte. E nel piangere la madre perduta, “un po’ viva in mezzo ai morti”, l’autore evoca la propria infanzia e dichiara in se stesso, “un po’ morto in mezzo ai vivi”, la solitudine di ogni uomo”.

I partecipanti sono 9, 2 uomini e 7 donne. Al momento di parlare della ricaduta del libro sono tutti solidali nella critica serrata alla voce narrante, che poi è l’autore stesso. Chi lo giudica una figlio mostruoso, chi lo accusa di aver voluto trarre guadagno dal lutto, chi sostiene che la storia non è assolutamente verosimile (e quindi in quanto falsa non meritevole di essere letta).

Dopo un primo giudizio gruppale di questo tipo, i partecipanti non riescono assolutamente ad esplorare il personaggio della madre, limitandosi a tratteggiare riflessioni sulla voce narrante (figlio) e casomai sul padre.

Chi accetta di condividere ricordi riporta unicamente ricordi idilliaci di relazioni gioiose con le proprie madri, donne prive di alcun difetto (neppure il più piccolo) e di famiglie perfettamente funzionali anche se un tantino piatte nelle descrizioni (per rimuovere ogni possibile sfumatura nei racconti manca profondità).

Della madre, insomma, non si può dire nulla che non sia lusinghiero.

Come procedere, quindi? Cosa avresti detto/fatto?

 

L’uso della Libroterapia in contesti individuali e gruppali

L’uso della libroterapia in contesti individuali e gruppali

 

DISCUSSIONE

Alessio:

Grazie per il contributo e lo spunto di riflessione. Mi colpisce come effettivamente ci sia questa iniziale situazione che vede delle madri idealizzate e come venga così tanto criticato l’autore. Forse proseguendo con la discussione, mi interrogherei sul rapporto con le madri.

Perché questa idealizzazione? Magari, porterei i partecipanti a fare esempi concreti e parlare più in termini pratici, andando in questo modo più in profondità. In tal modo potrebbe cadere il velo di idealizzazione e i racconti lusinghieri potrebbero diminuire fino a raccontare una visione più aderente alla realtà.

Rachele Bindi:

Grazie Alessio, la condivisione degli aspetti pratici è stata parte della questione: difficile l’accettare di andare a raccontare nel dettaglio, ho intravisto un mancato accesso a ciò che potrebbe essere “usato” contro la figura cristallizzata in positivo della madre…

Maria:

Bellissimo contributo! Mi ha fatto venire in mente il film “Fai bei sogni” tratto dal romanzo autobiografico di Massimo Gramellini, che racconta proprio della non elaborazione del lutto del suicidio materno, avvenuto quando aveva 8 anni, proprio perché negato per tutta la vita. Per il protagonista mantenere la madre in una posizione idealizzata, significava sopravvivere, ma d’altro canto, anche soffrire per la mancata integrazione dei sentimenti e delle emozioni legati al materno.

Nel gruppo di libroterapia potrebbe essere stato proprio il giudizio a rendere bloccante il flusso, tanto che ci si è arroccati in una posizione di difensiva.

Si potrebbe provare a metter in scena un role playing riproponendo il racconto di un evento particolare che sia esplicativo di una caratteristica di personalità materna, nel quale sia possibile dare rilevo anche ad altri punti di vista, non soltanto idealizzati o svalutanti? Utilizzare i partecipanti, sia come osservatori sia per interpretare altri ruoli, potrebbe essere utile ad esprimere come si sentono davvero ma parlando da un altro punto di vista, meno implicante in prima persona?

Rachele Bindi:

Grazie!!! Nei gruppi di libroterapia si rimane sempre sull’elaborazione della lettura, quindi il role playing potrebbe essere un atto diciamo ibrido che introduce una variazione troppo ampia, ma il tuo intervento è utilissimo perché introduce una storia da usare. La lettura di “Fai bei sogni” potrebbe essere un ottimo modo per far tornare il gruppo sulla questione della mancata integrazione dei sentimenti legati al materno.

In questo caso si potrebbe chiudere il gruppo con una restituzione di quanto successo (molto simile a quella che ho scritta qui ma più soft) e l’assegnazione del romanzo di Gramellini come prossima lettura.

Oppure si potrebbe introdurre l’elemento di “storytelling” esattamente come hai fatto tu nel tuo intervento: una efficace sintesi del film/libro introdotta da “Sapete cosa mi sta venendo in mente nell’ascoltarvi?…” e usata come modo per tornare subito sulla questione e riproporre un giro di riflessioni.

Sono due opzioni ugualmente valide, sta allo stile della conduzione scegliere quale è più coerente con l’andamento del percorso di gruppo…

Maria:

Si penso che quel romanzo possa essere molto utile, per me lo è stato! Mi chiedevo, a questo proposito, se nei gruppi di libroterapia potesse essere utile utilizzare il ruolo della conduzione per eseguire un intervento di questo tipo, una sorta di auto-svelamento, che permetta di far circolare nuovamente il pensiero…

Rachele Bindi:

Assolutamente sì, ovviamente moderato affinché non sia un disvelamento “eccessivo” da parte del terapeuta. Sono interventi utilissimi perché i partecipanti sentono in maniera più forte la dinamica dello specchio ed empatizzando con la conduzione esperiscono la possibilità di spostare il proprio punto di vista.

Marina:

Grazie per la riflessione. Pensavo che tutti i partecipanti del gruppo si soffermano solo sull’autore criticandolo; come se non volessero soffermarsi sul ‘ruolo’ delle proprie madri.
Come se stessero mettendo in atto una sorta di difesa dalle emozioni, credo che il limitarsi ad esprimere solo delle riflessioni lì tranquillizza, e porta loro a rimanere in relazione gruppale.
Potrei provare a far emergere questo aspetto restituendolo al gruppo e chiederei ad ognuno di loro di mettersi al posto dell’autore.

Rachele Bindi:

Grazie! Mi piace lo spunto di farli mettere al posto dell’autore, è un ottimo modo per metterli in contatto con le loro parti scomode. Anche in caso di un rifiuto potrebbe aprire la possibilità di una restituzione/interpretazione più ampia da parte della conduzione. Ottimo spunto!

Emanuela:

Salve Marina e gruppo! anche a me sono venute in mente le stesse riflessioni. Il rapporto con la madre è sempre un rapporto complesso su cui spesso non ci si interroga fino a quando non viene a mancare. Probabilmente il silenzio in tal senso va proprio a nascondere queste difficoltà ad esprimere emozioni spesso contrastanti.

Andrebbero con garbo riportate nel gruppo che possa fare da cuscinetto proprio a queste difficoltà comuni che è importante condividere… e, come dice l’autore, magari si vedrà la madre con occhi diversi e le si presterà un pò più di attenzione (finchè è in vita!)o si risolveranno alcune tensioni.

Rachele Bindi:

Ciao Emanuela, grazie!
Il libro aiuta a far questo, magari usando delle citazioni (ricordate che nelle sessioni di libroterapia cerchiamo di non mettere via lo strumento letterario, altrimenti torniamo nel gruppo psicoterapico classico).
Ad esempio: “Quando trovo le sue lettere, chiudo gli occhi e le metto a posto a occhi chiusi. Non oso nemmeno guardare le sue fotografie, in cui so che sta pensando a me” oppure
“Quanto possiamo far soffrire quelli che ci amano, quale spaventoso potere di male abbiamo su di loro”…

Che ne pensate?

Giulia:

Grazie per questa riflessione.

Un po’ mi sorprende l’idealizzazione della propria madre fatta dai partecipanti. Io penso che inizialmente chiederei loro di spiegarmi il perchè di tutte queste critiche verso l’autore (perchè lo hanno chiamato “figlio mostruoso”?).

Cercherei di capire il loro punto di vista. Ma anche far capire loro il punto di vista dell’autore e chiederei loro di raccontare momenti felici con le loro madri e se c’è stata qualche volta in cui loro non si sono comportati bene con la propria madre (magari quando erano piccoli e hanno avuto un litigio, quando la madre li obbligava a fare i compiti e loro non volevano). Il mio obiettivo sarebbe far capire loro che è alquanto improbabile avere una madre perfetta (ideale). Ma che ogni madre ci può far arrabbiare così come noi figli facciamo arrabbiare lei.

Rachele Bindi:

Nel romanzo la voce narrante (che è l’autore stesso) ripercorre il proprio rapporto con la madre. Ammette di averla giudicata, tenuta in disparte, presa in giro. Dice di essersi vergognato di lei…e ne recupera una memoria positiva solo dopo la sua morte. In relazione a questo comportamento arriva il giudizio del gruppo. Su una relazione madre/figlio non funzionale non sono riusciti a mettere in conto le motivazioni del comportamento del figlio o almeno la dinamica complessiva, preferendo un giudizio netto su di lui.

Recuperare la dimensione non idilliaca ma reale del rapporto con la madre come giustamente scrivi è l’obiettivo. Il gruppo approcciando sul lato del ricordo non ha ammesso il paragone tra qualche comportamento non perfetto avuto con le madri e ciò che si trova nel testo. Vale a dire puoi litigarci ma non puoi vergognartene…

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