Che cos’è il Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD)?

Il Disturbo Post-Traumatico da Stress è una condizione di disagio mentale che si sviluppa come risposta ad eventi stressanti, vissuti in prima persona o a cui si è assistito, che rappresentano per l’individuo una minaccia di morte o che hanno prodotto un danno fisico rilevante.

Esempi di tali eventi possono essere le violenze sessuali e fisiche, incidenti stradali, disastri naturali come terremoti o inondazioni, emergenze di carattere medico (si pensi alle pandemie, ma anche alle reazioni anafilattiche severe), fino a situazioni di estrema gravità per la propria incolumità come guerre, combattimenti militari e atti di terrorismo .

Il Disturbo Post-Traumatico da Stress fu concettualizzato a partire dagli anni ‘80 negli Stati Uniti, a partire dallo studio dei danni psicofisici riportati dai reduci della guerra del Vietnam ( Sindrome Post-Vietnam ).

I militari, infatti, una volta tornati a casa, spesso non erano in grado di reintegrarsi nelle attività sociali e lavorative quotidiane, a causa di sintomi invalidanti che si fondavano sul ricordo intrusivo di ciò che avevano vissuto in prima persona o di ciò che era accaduto ai loro compagni durante i combattimenti. Ricordo che influenzava pesantemente lo stato di veglia, ma anche il sonno, che appariva frequentemente disturbato da incubi o da insonnia.

Il PTSD si caratterizza, dunque, come manifestazione sintomatologica che deriva da un’esposizione prolungata e continua ad episodi di violenza e degrado. Nel corso dei decenni la definizione si è allargata sino ad includere il vissuto di soggetti che hanno assistito indirettamente ad eventi traumatici: familiari, testimoni, soccorritori.

Anche il contesto ambientale in grado di generare il disturbo è stato gradualmente ampliato con lo sviluppo degli studi scientifici in merito. Se all’inizio ci si è concentrati su eventi di grande portata, sia dovuti ad azione naturale (terremoti, tsunami, disastri ambientali), sia a mano umana (guerre, terrorismo), successivamente si è compreso come i sintomi si sviluppassero anche a seguito di gravi condizioni di maltrattamento, abuso e violenza in contesti più ristretti e domestici.

Il PTSD può, inoltre, svilupparsi anche attraverso esposizioni estremamente mediate. E’, infatti, stato accertato in diversi studi che, soprattutto nel caso dei bambini, anche in età prescolare , e degli adolescenti, anche l’esposizione ad eventi traumatici attraverso i media, a fatti che coinvolgono ad esempio la propria città, possa generare condizioni di PTSD.

In letteratura, oggi, si distinguono 4 principali forme di Disturbo Post-Traumatico da Stress:

  • Disturbo Post-Traumatico da Stress con dissociazione : accanto ai sintomi più comuni del disturbo, il soggetto vive persistenti sintomi di dissociazione, come depersonalizzazione (sensazione di distacco dal proprio corpo e dai propri processi mentali) o derealizzazione (sensazione di distacco dall’ambiente circostante, che appare irreale e distorto). La dissociazione agisce come meccanismo di difesa che permette di sopravvivere all’esperienza traumatica mentre essa è in corso (dissociazione peritraumatica). Essa, tuttavia, può manifestarsi anche in seguito come forma di protezione da emozioni e pensieri soverchianti.
  • Disturbo Post-Traumatico da Stress a espressione ritardata : la sintomatologia in questo caso si manifesta pienamente solo dopo oltre 6 mesi dall’esposizione all’evento traumatico. In alcuni casi i sintomi possono comparire dopo diversi anni dall’evento, come nel caso di adulti che sviluppano il disturbo a molti anni di distanza dagli abusi subiti durante l’infanzia.
  • Disturbo Post-Traumatico da Stress nei bambini : anche i bambini possono sviluppare il PTSD, anche se i sintomi spesso variano rispetto a quelli manifestati dagli adulti. Un esempio classico è che i bambini talvolta non sperimentano direttamente elementi associati al trauma, ma li mettono in atto attraverso il gioco. Inoltre, possono manifestarsi sintomi di iperattivazione, che degenerano in problemi di condotta o nel disturbo dell’attenzione.
  • Disturbo Post-Traumatico da Stress complesso (C-PTSD) : è probabilmente la forma più severa del disturbo, che si manifesta a seguito di traumi precoci, di natura relazionale (ad esempio, abuso fisico, sessuale o psicologico ad opera di un caregiver) e di tipo cronico (come maltrattamenti e violenza ripetuti o grave trascuratezza).

 

Le cause del Disturbo Post-Traumatico da Stress

Come abbiamo visto in precedenza, non esiste una sola causa che può determinare l’insorgenza di un Disturbo Post-Traumatico da Stress.

In linea generale, la reazione ad eventi traumatici vissuti direttamente o in forma indiretta, può essere generata sia da eventi catastrofici di origine naturale , come terremoti, tsunami, alluvioni, incendi, sia da eventi di grande portata causati da mano umana , come guerre, torture, minacce di morte.

Ci sono, tuttavia, altre situazioni che sono potenzialmente rischiose per l’insorgenza del disturbo, perché possono mettere seriamente in pericolo l’incolumità del soggetto. Incidenti stradali e disastri aerei, ma anche condizioni di carattere medico, quali pandemie o malattie a prognosi infausta.

Il disturbo può inoltre presentarsi a seguito di condizioni negative che riguardano persone a noi vicine o con cui lavoriamo. Un lutto traumatico può condizionare il benessere psico-fisico dei parenti, ma non solo. Lavorare a contatto con situazioni che presentano un ampio rischio di esposizione ad eventi traumatici può portare ai sintomi del PTSD, come nel caso di quelle figure professionali di primo soccorso (vigili del fuoco, soccorritori, professioni sanitarie).

Oltre a ciò, il PTSD, in particolare quello complesso, è associato a violenze subite nel corso dell’infanzia, sia in famiglia (come maltrattamenti, trascuratezza, abusi fisici e sessuali), sia nel contesto scolastico (bullismo), sia infine in relazione a specifiche condizioni di discriminazione (aggressioni basate sul genere, sull’orientamento sessuali, sull’etnia, sulla religione, sul credo politico).

La letteratura scientifica evidenzia come fattori di rischio sia l’aspetto fattuale (la gravità del trauma subito), sia l’aspetto percettivo (la minaccia percepita). Maggiori sono entrambi questi aspetti, più alto è il pericolo di sviluppare sintomi del PTSD. Tali fattori di rischio sono suddivisi in tre macro-categorie:

  • Fattori pre-traumatici : precedente esposizione ad altri traumi, età precoce, tratti di personalità particolarmente sensibili alla traumatizzazione, precedenti disturbi mentali, far parte di categorie discriminate;
  • Fattori propri dell’evento traumatico : se l’evento mette in pericolo la vita del soggetto, se causa dissociazione, se produce danni fisici;
  • Fattori post-traumatici : se il soggetto dispone di uno scarso supporto sociale, se il trauma ha causato disabilità o dolore fisico eccessivo, se ha causato una condizione finanziaria particolarmente precaria.

 

Come si sviluppa il PTSD da un punto di vista neurobiologico?

Le ricerche scientifiche hanno indagato in che modo l’esposizione al trauma influenzi l’attività cerebrale, generando reazioni psicologiche e fisiologiche che sono alla base dei sintomi del disturbo. In particolare, il ruolo dell’amigdala sembra essere centrale. Essa si attiva producendo molecole di oppiacei naturali che riducono la situazione di dolore di fronte a situazioni che generano paura e senso di pericolo.

Nei soggetti affetti da PTSD, il livello di ormoni prodotti in risposta allo stress ed alla paura non sono solo eccessivi, ma si protrae nel tempo, anche dopo la cessazione dell’evento traumatico, causando un’alterazione dello stato emotivo ed un’iperattivazione fisiologica.

In questo contesto, un modello particolarmente efficace per la gestione dei sintomi del PTSD è la Teoria Polivagale di Stephen Porges e Deb Dana, che approfondisce in che modo il processo neurale (neurocezione) valuti il rischio nell’ambiente e attivi i circuiti neurali adattivi che promuovono le interazioni sociali o, al contrario, i comportamenti difensivi.

 

Sintomatologia e diagnosi del Disturbo Post-Traumatico da Stress

In questo paragrafo andremo ad approfondire quali sono i sintomi principali del PTSD. In particolare, il DSM-5 propone 5 criteri principali per diagnosticare il Disturbo Post-Traumatico da Stress.

Criterio A – Esposizione ad un evento traumatico . Il tipo di esposizione può essere differente. Può essere diretta o indiretta (assistere ad un evento traumatico accaduto ad altri). Può inoltre essere legata all’esposizione della narrazione dell’evento. I sintomi possono insorgere anche quando non si è assistito all’evento, ma si è venuti a conoscenza di un evento accaduto a figure centrali, come i caregiver primari nel caso dei bambini. Altro elemento importante è l’esposizione ripetuta all’evento traumatico vissuto da altri, ad esempio come avviene per le professioni sanitarie a contatto con malattia, morte e racconti di abusi dei propri pazienti.

Criterio B – Sintomi di risperimentazione . Il soggetto rivive costantemente aspetti legati al trauma, che si presentano sotto forma di flashback, che tuttavia appaiono talmente reali da credere di riviverli nel presente, fino a perdere la consapevolezza dell’ambiente circostante. Questa ri-sperimentazione del trauma può avvenire non solo nello stato di veglia, ma anche durante il sogno, con presenza di incubi che riguardano luoghi, persone, avvenimenti legati all’esperienza traumatica.

Criterio C – Sintomi di evitamento . La paura di rivivere le sensazioni provate durante il trauma, può portare i soggetti ad evitare situazioni esterne (luoghi, persone, conversazioni) che possono ricordare l’evento traumatico. Nel lungo termine, questa condizione può portare ad un isolamento sociale problematico. L’evitamento può anche riguardare l’esperienza interna, quando il paziente rimuove o sopprime ricordi spiacevoli, fino a sviluppare condotte a rischio, quali abuso di sostanze, comportamenti sessuali compulsivi, stakanovismo e autolesionismo.

Criterio D – Sintomi di alterazione negativa dei pensieri e delle emozioni . Si tratta dello sviluppo di convinzioni negative su di sé (colpa, vergogna, bassa autostima), sugli altri (diffidenza e paranoia), sul mondo in generale (perdita di speranza). Un sintomo particolarmente severo è l’amnesia post-traumatica: la persona non ricorda elementi significativi ed estesi dell’esperienza traumatica.

Criterio E – Sintomi di iperattivazione . Accanto ai sintomi emozionali, la persona sperimenta uno stato di attivazione ( arousal ) che riproduce quello sperimentato durante il trauma e che in quel momento aveva una funzione adattiva. La riattivazione continua porta il soggetto ad uno stato costante di allerta e ipervigilanza che a lungo andare esaurisce le energie psico-fisiche a disposizione.

 

Il trattamento del Disturbo Post-Traumatico da Stress

Per il trattamento del Disturbo Post-Traumatico da Stress esistono diversi tipi di approcci che sono riuniti sotto il cappello della Trauma-Informed Therapy .

Spesso si predilige un approccio multidisciplinare che permetta di coniugare diversi modelli e tecniche di intervento, spesso legando le conoscenze neuroscientifiche, psicologiche e somatiche. Il trattamento, poi, può essere declinato in relazione a categorie specifiche, come ad esempio le donne che hanno subito traumi ripetuti .

I modelli principali utilizzati sono i seguenti:

  • Mindfulness e Yoga : in particolare i l Programma per la Riduzione dello Stress Basato sulla Mindfulness (MBSR) messo a punto negli Stati Uniti dal biologo molecolare Jon Kabat-Zinn, si è rivelato molto efficace per ridurre i sintomi del PTSD. Ad esso può essere integrato lo Yoga come trattamento aggiuntivo .
  • Psicoterapia Sensomotoria : nello specifico la Psicoterapia Sensorimotoria di gruppo è particolarmente utile per il trattamento di stabilizzazione del PTSD complesso (C-PTSD).
  • EMDR e Terapia Somatica : l’approccio EMDR è particolarmente efficace nella gestione dei sintomi somatici e psichici associati al dolore, dal momento che il PTSD irrisolto può manifestarsi come infiammazione corporea e squilibri del sistema nervoso autonomo.
  • Modello NARM (NeuroAffective Relational Model) : esso affronta il trauma relazionale e dell’attaccamento, dunque con particolare attenzione allo sviluppo infantile, lavorando con modelli precoci e inconsci di disconnessione che influenzano profondamente la l’identità, le emozioni, il comportamento e le relazioni. Il NARM offre un modello teorico e clinico completo per affrontare le esperienze avverse dell’infanzia (ACE) e risolvere i traumi complessi (CPTSD).
  • IFS (Internal Family Systems) : l’IFS permette di determinare le origini e lo sviluppo dei Sistemi Familiari Interni del paziente con PTSD, aiutandolo attraverso un approccio compassionevole, rispettoso e non patologizzante per comprendere l’organizzazione e il funzionamento della psiche traumatizzata.
  • ACT (Acceptance and Commitment Therapy): il modello ACT, agendo direttamente sui problemi di evitamento e sulla gestione delle cognizioni automatiche del paziente, si è rivelato particolarmente adatto per il Disturbo Post-Traumatico da Stress.
  • CFT (Compassion Focused Therapy) : La CFT si concentra in particolare sulla vergogna e sull’autocritica, elementi trans-diagnostici di molti disturbi psicologici, ma molto frequenti nel PTSD. Grazie ai sempre più numerosi dati di ricerca la CFT è diventata uno degli approcci terapeutici più promettenti ed efficaci per il trattamento del disturbo post-traumatico. La prospettiva adottata è quella evoluzionistica e bio-psico-sociale della psicopatologia e del suo mantenimento, basata sullo sbilanciamento di tre sistemi di regolazione emotiva presenti nel nostro cervello: il sistema della minaccia, della ricerca di stimoli, e della connessione e sicurezza – safeness . Essa propone un processo di cambiamento (ribilanciamento dei sistemi emotivi) che avviene tramite l’attivazione e “ l’allenamento-training ” di un sistema motivazionale innato (la compassione, sia per se stessi che per gli altri), da anni al centro di numerosi studi di neuroscienze e psicofisiologia per i suoi effetti positivi sulla regolazione emotiva, l’autocritica, la nostra capacità di mentalizzazione e persino sul nostro sistema immunitario e cardiovascolare.
  • CBT (Cognitive Behavioral Therapy) : il trattamento cognitivo-comportamentale si è rivelato particolarmente utile nella gestione dei sintomi del PTSD, dal momento che propone un protocollo che include moduli di psicoeducazione; esposizioni in vivo a fattori scatenanti legati al trauma; tecniche di gestione dello stress; lavoro narrativo o elaborazione emotiva dell’esperienza traumatica.
  • Psicoterapia Psichedelica Assistita (PAP) : questo nuovo paradigma propone l’uso di farmaci psichedelici per espandere la consapevolezza e facilitare la guarigione psicologica. I recenti studi scientifici sulla Psicoterapia Psichedelica Assistita promettono lo sviluppo di un approccio più efficace e meno costoso per il trattamento di una vasta gamma di condizioni, soprattutto per il PTSD e la depressione resistente ai trattamenti. Diversi studi approvati dalla U.S. Food and Drug Administration hanno già prodotto risultati sorprendenti, con il risultato che alcuni trattamenti vengono accelerati grazie all’uso degli psichedelici. Con un adeguato screening, sotto supervisione clinica in ambienti accuratamente controllati, le sostanze psichedeliche si stanno dimostrando sicure e sorprendentemente efficaci se coadiuvanti alla psicoterapia. I clienti mostrano non solo l’alleviamento dei sintomi, ma anche miglioramenti misurabili nel benessere e nella soddisfazione della vita.

 

Comorbidità del PTSD con altri disturbi

Il Disturbo Post-Traumatico da Stress presenta alcune comorbidità con altri disturbi psicopatologici. Una delle relazioni più frequenti è quella con il Disturbo Ossessivo Compulsivo .

Una persona su quattro che ha il PSTD spesso soffre anche di disturbo ossessivo-compulsivo (DOC). Gli individui con disturbo DOC fanno esperienza di pensieri, impulsi e comportamenti persistenti e ricorsivi che sono intrusivi e inappropriati. Spesso portano avanti comportamenti ossessivi e ripetuti o svolgono  rituali mentali come metodo per ridurre l’ansia.

Gli studi hanno suggerito che alcune persone sono più propense a sviluppare comportamenti ossessivi dopo essere stati esposti a un trauma, poiché il cervello interpreta in modo errato gli eventi producendo pensieri intrusivi che portano a comportamenti ripetuti come un modo per andare avanti.

Altra associazione piuttosto evidente è con la Depressione . La co-occorrenza del disturbo post-traumatico da stress (PTSD) e della depressione è stata ampiamente osservata in letteratura. Rytwinski, Scur, Feeny e Youngstrom (2013) hanno riferito che la prevalenza di comorbidità tra PTSD e disturbo depressivo maggiore è del 52% negli adulti. Dati piuttosto significativi sono rilevati anche dalle ricerche su bambini e adolescenti che hanno subito un trauma.

Alti tassi di familiarità con il trauma emergono, inoltre, tra gli individui con i Disturbi Alimentari , con stime che vanno dal 37-100%. Alcune ricerche suggeriscono che gli individui con Disturbi Alimentari che hanno una familiarità con traumi sperimentano una fra le diverse forme di psicopatologia alimentare più grave, oltre a deficit cognitivi, affettivi e interpersonali, che sono più gravi di quelli presenti negli individui con Disturbi Alimentari che non hanno subito traumi. I pazienti con Disturbi Alimentari con una familiarità con traumi hanno anche la probabilità di avere una diagnosi secondaria di disturbo post-traumatico da stress (PTSD).

Infine, una categoria particolarmente esposta al PTSD è quella dei pazienti oncologici . A sei mesi dalla diagnosi, il 22% dei pazienti oncologici riporta sintomi di stress post-traumatico. A quattro anni, la percentuale di pazienti che soffrono ancora di questo disturbo si attesta intorno al 6%.