Chair-work nella CFT: Incarnazione, esternalizzazione ed emozione

Paul Gilbert
Autore: Paul Gilbert
Paul Gilbert, PhD, è uno psicologo clinico britannico di fama mondiale, conosciuto principalmente come il fondatore della Compassion-Focused Therapy (CFT), un approccio terapeutico innovativo che int...
chair-work

La terapia incentrata sulla compassione (CFT) è un modello di psicoterapia integrativa che si basa:

  • sulla psicologia evolutiva, dello sviluppo e sociale;
  • neuroscienze affettive;
  • psicologia buddista

La terapia si concentra sulla coltivazione e sull’applicazione della compassione sia per sé stessi che per gli altri. Originariamente, fu sviluppata per clienti con alti livelli di autocritica e vergogna. Nella CFT, la compassione è definita come “una sensibilità alla sofferenza in sé e negli altri con l’impegno di cercare di alleviarla e prevenirla” (Paul Gilbert, 2017, p.11).

La compassione è vista come radicata nei sistemi motivazionali di cura evoluti e nella loro infrastruttura fisiologica. La terapia mette in evidenza i modi in cui le diverse motivazioni organizzano una serie di processi fisiologici e psicologici (Gilbert, 2005). Come modello di psicoterapia, la CFT ha dimostrato di essere efficace per una varietà di disturbi della salute mentale nelle popolazioni cliniche (vedi Leaviss & Uttley, 2015, per una prima revisione sistematica). In applicazione, la CFT è una terapia multimodale che integra vari approcci psicoterapeutici per accedere e indirizzare motivazioni affiliative, emozioni e competenze associate alla compassione (Gilbert, 2010).

La CFT include “formazione della mente compassionevole” che coinvolge attività come la consapevolezza e l’allenamento dell’attenzione, immagini compassionevoli e focalizzazione somatica, prima di applicare la “mente compassionevole” del cliente ad aree di difficoltà e bisogno. Quest’ultimo compito può includere interventi come la scrittura di lettere espressive, compiti di esposizione, riscrittura della memoria e chair-work (Gilbert & Chris Irons, 2005).

 

Compassion Focused Therapy – Training di 1° livelloCompassion Focused Therapy

 

Chair-work in psicoterapia

Chair-work” denota un gruppo di tecniche psicoterapeutiche esperienziali che incorporano le sedie, il posizionamento delle sedie e il movimento del cliente tra di esse. Il metodo del chair-work ha una ricca storia in psicoterapia, originato dallo psicodramma (Moreno, 1948) e sviluppato nella terapia della Gestalt (Perls, 1973) e nella terapia incentrata sulle emozioni (EFT) (Greenberg, Rice, & Elliott, 1993). Il chair work ha anche caratterizzato lo sviluppo della terapia cognitiva e comportamentale (Pugh, 2017) e svolge un ruolo significativo nelle terapie integrative, come la schema therapy (Arntz & Jacob, 2013).

Date le varie modalità terapeutiche in cui viene applicata la sedia, vi è una notevole variazione nella sua forma e funzione. Ad esempio, la sedia può essere utilizzata per attivare un dialogo “esterno” o “interno” a seconda della sua inter‐ o concentrazione intrapersonale. Ci sono anche varie concettualizzazioni del suo meccanismo d’azione che includono lo sviluppo dell’intuizione metacognitiva e del decentramento (Chadwick, 2003), l’elaborazione emotiva (Diamond, Rochman e Amir, 2010) e lo sviluppo di una pluralità di “voci” interne ” schemi” o “mentalità” che possono essere ascoltati, compresi e collegati in modi nuovi (Arntz & Jacob, 2013; Gilbert, 2010).

Sebbene gran parte della ricerca sui risultati sul chair-work sia preliminare (vedi Pugh, 2017, per la revisione), gli studi di confronto delle tecniche sono stati notevoli nel dimostrare come il chair-work abbia avuto un impatto maggiore nel ridurre i problemi di salute mentale come depressione, anxiety e autocritica rispetto alle sole “condizioni relazionali” (Stiegler, Molde, & Schanche, 2017). È anche dimostrato che la cattedra supera gli interventi cognitivi scritti, in aree cliniche chiave, quando si affronta lo stesso materiale (de Oliveira et al., 2012).

Studi autonomi sul chair-work hanno mostrato un particolare beneficio nel prendere di mira e ridurre l’autocritica e il disagio emotivo associato (Shahar et al., 2012). In termini di esperienza del cliente della cattedra, la ricerca ha evidenziato la natura emotivamente intensa ma trasformativa dell’approccio, identificando spesso un movimento dall’avversione iniziale a una maggiore consapevolezza e intuizione intrapersonale (Stiegler, Binder, Hjeltnes, Stige e Schanche, 2018).

 

Chair-work CFT e la sua applicazione con autocritica

La terapia incentrata sulla compassione è distintiva nell’introdurre “la sedia compassionevole e nel costruire i sentimenti, la tolleranza, le intuizioni e i punti di forza di questa parte del sé” (Gilbert, 2010, p. 167). Una volta sviluppata, la sedia compassionevole, o “sé” compassionevole, è utilizzata per concentrarsi su altre parti del sé attraverso:

  • il dialogo
  • l’incarnazione
  • l’attuazione del chair-work

Ciò può includere il chair-work vuota (ad esempio, focalizzare la compassione verso un “altro” immaginario) e il lavoro su due sedie (ad esempio, creare un dialogo tra il sé compassionevole e un “sé” vulnerabile). In genere comporta interventi tra più parti utilizzando un numero maggiore di sedie (Gilbert & Irons, 2005; Kolts, 2016).

Uno di questi interventi (e l’intervento utilizzato in questo studio) prevede la creazione di un dialogo tra il sé compassionevole, l’autocritica e la parte criticata del sé. EFT utilizza un metodo a due sedie per dialogare tra le sedie “critiche” ed “esperienti” quando affronta l’autocritica (Greenberg et al., 1993). Invece, CFT incorpora il sé compassionevole, su una terza sedia, per portare una motivazione e mentalità compassionevoli sia per la parte “critica” che per quella “criticata” del sé. Piuttosto che cercare di espellere o calmare le parti del sé che sono in conflitto, il sé compassionevole lavora con loro come voci importanti. Questo implica impegnarsi con il critico per comprenderne le funzioni, le paure, i bisogni e la storia.

Se, invece, il critico è un’“intrusione” (cioè la voce di un altro violento), il sé compassionevole è utilizzato per rispondere in modo assertivo.  Ad esempio, la voce è differenziata dal “sé” e affrontata attraverso il trauma interventi informati (Gilbert, 2010). L’uso della compassione per integrare tali parti del sé basate sulla minaccia differenzia il chair-work CFT da, ad esempio, la schema-therapy. In questa, uno degli obiettivi espliciti del chair-work autocritico è quello di “combattere la modalità punitiva dell’adulto” (Arntz e Jacob, 2013, pag. 224).

 

La Schema Therapy per lavorare su Vergogna, Invidia e Rabbia

 

L’intervento CFT sopra descritto può essere concettualizzato utilizzando la teoria della mentalità sociale. Una mentalità sociale è un modello di cognizione, emozione e comportamento che facilita l’attivazione di motivazioni sociali (Gilbert, 2000). Tali mentalità creano ruoli reciproci dell’altro nel perseguimento di obiettivi biosociali evoluti: prendersi cura ed essere accuditi; competere; formare relazioni sessuali; cooperare (Gilbert, 2000). A causa dell’evoluzione della cognizione di ordine superiore negli esseri umani e della nostra capacità di autoriflessione e consapevolezza, “le mentalità sociali vengono attivate non solo nelle relazioni con gli altri, ma anche nelle relazioni all’interno del sé” (Hermanto & Zuroff, 2016, p. 524).

L’autocritica può quindi essere intesa come il rispecchiamento interno e l’adattamento di una mentalità competitiva, basata sul rango. Ovvero, con una parte del sé che domina e subordina un’altra (Gilbert & Irons, 2005). L’intervento CFT chair-work offre un mezzo esperienziale per passare da una mentalità competitiva interna dura, legata al monitoraggio delle minacce, a una mentalità interna basata sull’assistenza e al ruolo associato che la compassione ha sulla regolazione emotiva e sulla gestione delle minacce (Gilbert, 2005).

Un focus esplorativo con la depressione

Il presente studio è il primo della cattedra di CFT e mira ad esplorare le esperienze e la comprensione dei clienti che hanno intrapreso l’intervento per autocritica. Lo studio utilizza la metodologia qualitativa dell’analisi fenomenologica interpretativa (IPA) (Smith, Flowers, & Larkin, 2009) che offre un mezzo per bilanciare la descrizione fenomenologica con l’intuizione interpretativa. E’ spesso utilizzata per esplorare l’esperienza vissuta dei clienti della psicoterapia (incluso CFT, ad es. Lawrence & Lee, 2014).

Questo studio si concentra sulle esperienze dei clienti con depressione, a causa del ruolo significativo dell’autocritica nello sviluppo e nel mantenimento della depressione (Ehret, Joormann e Berking, 2014). Al contrario, è stato riscontrato che l’autocompassione è negativamente correlata alla depressione e all’autocritica (Ehret, et al., 2014; Joeng & Turner, 2015). Pertanto, un intervento che ha il potenziale per aumentare l’autocompassione, riducendo al contempo l’autocritica, è particolarmente promettente per il trattamento della depressione.

Obiettivi della ricerca

In sintesi, lo scopo del presente studio è esplorare come i clienti con depressione sperimentano, ricevono e comprendono uno specifico intervento con la sedia incentrato sulla compassione che prende di mira l’autocritica. In definitiva, l’obiettivo è utilizzare le intuizioni acquisite dall’esperienza diretta dei clienti per fornire a terapeuti e formatori l’opportunità di comprendere e sviluppare ulteriormente l’intervento e il suo utilizzo.

 

La CFT utilizza la tecnica Chair-work

L’esperienza dei partecipanti di passare da una mentalità all’altra e da una motivazione all’altra (cioè, tra il “sé” critico e quello compassionevole) è segnata da cambiamenti significativi nell’esperienza emotiva e corporea. Tali cambiamenti hanno agito come marcatori affettivi e somatici per ciascun “sé”. I partecipanti hanno acquisito una visione della presenza, delle funzioni, della motivazione e dell’impatto di ciascuna modalità di auto-relazione attraverso il loro feedback emotivo e corporeo.

L’identificazione e il contrasto di varie emozioni durante l’esercizio è stato fondamentale per evidenziare le differenze tra l’auto-relazione compassionevole e quella critica. I partecipanti erano particolarmente colpiti dalla presenza di emozioni più vulnerabili (come l’ansia), che a loro avviso erano precedentemente oscurate dall’identificazione con la “parte” arrabbiata e attaccante della relazione critica. Le reazioni emotive dei partecipanti sono state il mezzo principale per riconoscere l’intero disagio e l’impatto creato dall’autocritica e da una mentalità sociale competitiva interna (Gilbert, 2000).

Tali risultati supportano le affermazioni di Gilbert (1992) e di Greenberg e Watson (2006), secondo cui nel lavoro con la depressione è necessario valutare e indirizzare una varietà di emozioni, evidenziando la sua natura emotivamente dinamica e sfaccettata e la necessità di discriminare ed elaborare gli stati affettivi “centrali” al di sotto di una depressione globale dell’umore. I risultati hanno anche rivelato l’uso del corpo da parte dei partecipanti per accedere e approfondire la connessione con i vari “sé”. Le reazioni automatiche sono state ampliate da un’abitazione fisica intenzionale e dalla messa in scena di ciascun sé. Tale messa in scena ha offerto un’ulteriore visione della natura e della funzione di ciascun sé.

Il corpo è usato di frequente per influenzare la mente, ad esempio cambiando o mantenendo una postura. I cambiamenti mentali risultanti sono articolati in modo più vivido nel corpo (compreso il frequente uso di metafore basate sul corpo per illustrare l’esperienza soggettiva). La letteratura sulla cognizione incarnata affronta queste influenze bidirezionali tra corpo e cognizione (Varela, Thompson, & Rosch, 1991) e i risultati sperimentali dimostrano l’impatto che la manipolazione degli stati corporei può avere sull’umore, sulla memoria e sulla cognizione (Michalak, Rohde, & Troje, 2015). Tuttavia, è sorprendente che lo studio abbia riscontrato che i partecipanti utilizzavano attivamente e istintivamente questa influenza e manipolazione per accedere a “sé” diversi in un contesto clinico.

In particolare, i partecipanti hanno spesso utilizzato questo fenomeno durante le interviste di ricerca, cambiando la loro postura e i loro gesti per aiutare il richiamo di particolari “sé”. Questo ha implicazioni cliniche più ampie per il modo in cui i clienti potrebbero usare il corpo in modo indipendente per riaccedere a particolari visioni e stati d’animo della seduta. Mentre la CFT utilizza vari interventi incentrati sul corpo, la natura enattiva e incarnata del chair-work sembra essere particolarmente adatta alla sua enfasi olistica sulla creazione di cambiamenti negli stati d’animo, nella motivazione e nella mentalità. Sulla base dei racconti dei partecipanti, i clinici potrebbero massimizzare le sinergie tra corpo, emozioni e cognizione attraverso vari mezzi durante il chair-work.

 

Chair Dialogue: il Lavoro con le Sedie per la Terapia Espressiva Individuale

 

Ciò potrebbe includere:

  • un maggiore incoraggiamento per i clienti a notare e seguire l’esperienza corporea;
  • maggiori richieste di usare la postura e i gesti per connettersi, esprimere e ancorarsi ai vari stati del sé;
  • fornire un feedback “in diretta” sui cambiamenti che il terapeuta nota nel corpo del cliente (per favorire la consapevolezza);
  • l’amplificazione dell’espressione corporea dei clienti attraverso il rispecchiamento del terapeuta.

Sebbene questi aspetti siano suggeriti nella letteratura sul chair-work (Kellogg, 2015; Perls, 1969), le ricerche precedenti su questi argomenti sono minime per sostenerne l’integrazione.

I partecipanti sono rimasti scioccati nel sentire il disprezzo e l’ostilità delle loro critiche espresse come se fossero rivolte a un altro essere umano. Questo fenomeno (il sé trattato come “altro”) ha anche facilitato l’autocompassione nei partecipanti che in precedenza erano stati in grado di esprimerla solo all’esterno. Si possono fare interessanti paralleli con la letteratura sperimentale che suggerisce che cambiare il discorso su di sé dalla prima alla terza persona facilita una maggiore regolazione emotiva (Moser et al., 2017).

Questa conflittualità e confronto tra sé e l’altro si collega agli obiettivi espliciti della CFT di sbloccare i flussi di compassione interni ed esterni: da sé all’altro, dall’altro a sé e da sé a sé (Gilbert, 2010). Nella CFT, il passaggio al sé compassionevole permette ai clienti di andare oltre l’ostilità del critico e di riconoscere i bisogni insoddisfatti di riconoscimento, accettazione e cura. Il processo di chair-work sembra sostenere questo cambiamento reclutando la capacità dei partecipanti di dare compassione agli altri. L’autocritica diventa un “altro” sulla sedia opposta. La CFT, tuttavia, fa un’importante distinzione tra l’autocritica radicata nella paura del confronto e del rifiuto e l’autocritica radicata nell’interiorizzazione di un “altro” abusivo (Gilbert, 2010).

In quest’ultimo caso, il critico è etichettato come “abusante” e il chair-work può essere utilizzato in modo diverso da quello qui illustrato. È inoltre degno di nota il fatto che i partecipanti abbiano paragonato positivamente il chair-work di CFT al loro precedente trattamento cognitivo. Hanno contrapposto i momenti “feel-it” del chair-work all’attenzione razionale del lavoro verbale o scritto. Come identificato dai partecipanti, si potrebbe sostenere che il chair-work CFT agisce per collegare il significato propositivo basato sulla “testa” con l’elaborazione implicazionale basata sul “cuore” (Teasdale & Barnard, 1993). Ciò dà sostegno ai risultati precedenti secondo cui il chair-work è più efficace nel modificare il significato e le emozioni rispetto agli interventi verbali sullo stesso argomento (de Oliveira et al., 2012).

La struttura emotiva, incarnata e multisensoriale del chair-work di CFT potrebbe quindi essere concettualizzata come una riduzione della “dissociazione razionale-emotiva” (Stott, 2007). Al contempo, aumentando la “profondità dell’esperienza” (un fattore associato a migliori risultati clinici nella pratica esperienziale, Pascual-Leone & Yeryomenko, 2017). L’intensità dell’eccitazione e dell’espressione emotiva sperimentata durante l’esercizio di CFT è un segno distintivo del chair-work. Fa eco alla letteratura precedente sulla tecnica (Stiegler et al., 2018). Nello studio attuale, i partecipanti hanno associato questa intensità di sentimenti a vari benefici terapeutici, tra cui la percezione di una maggiore tolleranza emotiva, padronanza e comprensione.

La letteratura precedente sul chair-work ha spiegato tali benefici utilizzando paradigmi di elaborazione o esposizione emotiva (Pugh, 2017). Tuttavia, tali benefici sono anche suggestivi di una migliore alfabetizzazione emotiva e autoefficacia, capacità legate a una maggiore autoregolazione emotiva (Caprara, Di Giunta, Pastorelli, & Eisenberg, 2013). I partecipanti hanno riferito di essere in grado di entrare e uscire dagli estremi dell’emozione con relativa facilità. Sostenendo, così, l’idea che il chair-work possa essere un potente mezzo per insegnare la regolazione emotiva e la resilienza (Kolts, 2016).

L’esercizio offre anche un mezzo per esplorare la rabbia in modo nuovo. Infatti, i partecipanti scoprono la loro rabbia come potenziale nuova fonte di “energia” da reindirizzare all’esterno con mezzi assertivi. Questo dà sostegno alle teorie secondo cui l’autocritica (e la depressione) possono essere collegate a problemi di esternalizzazione della rabbia e di inibizione delle difese esterne (Gilbert, Gilbert, & Irons, 2004). L’alta intensità delle emozioni nell’esercizio è ritenuta una parte utile e necessaria del trattamento. Tuttavia, tale intensità era percepita come avversativa da oltre la metà dei partecipanti.

Ciò riflette i risultati precedenti, secondo i quali i partecipanti si sentono “spaventati” e sotto shock quando eseguono il chair-work (Robinson, McCague, & Whissell, 2014). È da notare chesono state riscontrate correlazioni positive tra alti livelli di emozioni espresse durante il chair-work e risultati clinici (Greenberg & Malcom, 2002). Tuttavia, il chair-work è stato associato a tassi di abbandono più elevati rispetto agli interventi verbali (Paivio & Nieuwenhuis, 2001). Tali risultati suggeriscono un certo grado di cautela ma anche, come nel presente studio, un notevole beneficio nel perseverare oltre le reazioni e le paure iniziali.

Questa conclusione riflette il suggerimento di Carryer e Greenberg (2010) secondo cui i livelli “ottimali” di eccitazione emotiva per il trattamento esperienziale della depressione dovrebbero essere “modesti”. Tuttavia, il trattamento dovrebbe, nel breve termine, suscitare un “livello completo di espressione emotiva” (p. 196). Questi risultati evidenziano anche la necessità per i clinici di essere particolarmente in sintonia con i livelli di angoscia del cliente. Di sviluppare, inoltre, la capacità di stimolare e di abbassare la regolazione delle emozioni per facilitare il compito.

Come prima ricerca sul chair-work della CFT, questo studio suggerisce che il formato del chair-work integra e facilita molte delle principali strategie terapeutiche della CFT, come:

  • lo sblocco di vari “flussi” di compassione
  • la differenziazione e l’integrazione di varie esperienze basate sulla minaccia
  • l’enfasi sul cambiamento esperienziale ed emotivo
  • l’attenzione al cambiamento delle motivazioni e della mentalità sociale (Gilbert & Irons, 2005).

 

La Compassion Focused Therapy, con Paul Gilbert

 

I limiti dell’attuale studio includono la mancanza di un’intervista diagnostica strutturata per la depressione. Anche se, tali interviste non sono comunemente applicate nei servizi psico-logici di assistenza primaria in cui si è svolta la ricerca.

Sono necessari studi sperimentali sull’efficacia del chair-work della CFT. Tuttavia, ulteriori esplorazioni qualitative dell’esperienza vissuta dai clienti di tali interventi potrebbero chiarire e migliorare l’applicazione della terapia e guidarne la formazione clinica.

Le direzioni per la ricerca futura potrebbero includere:

  •  l’uso dell’intervento in presentazioni diverse dalla depressione;
  • l’impatto di una maggiore collaborazione nella disposizione delle sedie nella stanza;
  • l’influenza del gesto corporeo, della postura e del movimento nel chair-work;
  • il ruolo della relazione terapeutica nel facilitare l’approccio.

Fonte: Tobyn Bell. J. Montague, J. Elander, P. Gilbert. “A definite feel‐it moment”: Embodiment, externalisation and emotion during chair‐work in compassion‐focused therapy. DOI:10.1002 /capr.12248

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